VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

30 ott 2022

Sull’urgenza di fermare la guerra in Ucraina

Bullìte...

Se l’Accademia di Svezia avesse attivato il Nobel per il bullismo, all’unanimità oggi lo vincerebbe il signor Putin. Surclasserebbe tutti i rivali. Perfino l’amico Kim, per volere divino presidente a vita in Nord Corea. Degno rivale, certo, ma amaramente secondo. Buona la distanza per gli altri concorrenti. Affetti anch’essi da bullite acuta. Cronica forse no, certo però piuttosto evidente, almeno da febbraio a questa parte. Il salto che il potenziale Nobel per il bullismo ha fatto otto mesi fa ha riattivato tutti i bullite-virus che giacevano dormienti in tanti nostri governanti.

Perché una diagnosi così gratuita e a tappeto, tra l’altro neppure richiesta e con un termine che non esiste, sui tanti uomini di governo? Perché oggi facciamo... psico-politica.

Partiamo da una domanda. Di cosa si nutre il bullo? Della sua presunzione, sì. Della sua fragilità e debolezza che con la presunzione fanno una cordata esplosiva. Ma se questo è il terreno buono perché il bullismo attecchisca, il concime che più lo rende rigoglioso è un altro: la minaccia. Quanto più si sente minacciato, tanto più il bullo alza il tiro. Mai potrà accettare di perdere. Per lui perdere significa morire. Nome faccia onore dignità vanno difese ad ogni costo. Minacciare è un verbo che appartiene solo a lui, al suo vocabolario. Chiunque altro osi appropriarsene diventa nemico giurato. Un altrui da annientare.

 

Osserviamo ora la reazione di tanti nostri governanti. Dall’inizio dell’invasione, dopo qualche timido tentativo di dialogo, hanno risposto quasi esclusivamente con minacce. Parole pesanti, offensive. Criminale la più innocente. Poi sanzioni. Poi armi. Ancora minacce, in risposta alle sue, sull’arma nucleare. Non ci provare perché io sono più forte di te non fermerà mai il malato di bullismo. È benzina sul fuoco, è doping, è integratore potente ad ampio spettro.

Di fronte al bullo devo decidere: voglio che riattivi la capacità di riflettere al punto che arrivi a prendere in considerazione l’idea di smetterla, o desidero portarlo fino all’estremo, fino al totale esaurimento delle sue energie? Se siamo solo io e lui, posso scegliere. Ma se di mezzo ci sono altre persone, tante altre persone, non devo darmi come obiettivo che la smetta di fare danni quanto prima? Questo è il punto. E se voglio questo, non posso giocare con le minacce. La mia strategia può essere solo quella di cercare ogni possibile pertugio per arrivare a lui in modo che possa sentirsi forte. Che da me per primo questa forza la senta riconosciuta. Che l’immagine che gli restituisco arrivi a lui immagine di rispetto e di riconoscimento.

 

Se ora dallo psico- passiamo al -politico, non possiamo non chiederci qual è l’obiettivo che i nostri governanti si pongono con Putin. Anch’io ritengo che ciò che sta facendo è un crimine. Crimine contro l’umanità. Di cui dovrà pure rendere conto un giorno. Non ci sono giustificazioni: le analisi di geopolitica più sofisticate non possono portarci ad accettare che anche le controversie più intense o antiche si possano risolvere con missili e carrarmati. Ma qui non possiamo dimenticare che tra lui e noi c’è di mezzo un popolo. Il popolo ucraino. Non ci sono solo un presidente contro un presidente. E questo non può che diventare per noi costrizione ad agire in modo che la sua aggressione termini quanto prima. Sì, quanto prima.

Qualche giorno fa un giornale titolava Colloqui solo se Putin si ferma. No. È proprio qui il punto: i colloqui si devono attivare perché Putin si fermi. Il dialogo, politico economico e diplomatico, non è un premio: è lo strumento per raggiungere l’obiettivo. Fermare la guerra. Quanti morti vogliamo aspettare?

Non so io come si fa. Non ho competenze in giochi di politica o alta diplomazia. Agli addetti ai lavori spetta studiare e attivare tattiche e strategie efficaci. Io so bene una cosa, però, e questa non possiamo dimenticarla. La mente umana funziona seguendo le sue regole. Sempre e dovunque. Al di là di quelle che sono differenze personali legate a cultura, formazione, storia di ciascuno o ruolo ricoperto. Ciò significa che Putin o Zelensky, Biden o Xi, Draghi o Erdogan o Macron appartengono alla medesima specie umana. In altre parole, nei giochi relazionali sono guidati dai medesimi processi mentali che guidano noi, comuni mortali. Per questo dicevo psico-politica. Quella strategia che devo ricercare per fermare il ragazzino che bullizza la classe, fatte le dovute differenze, è la stessa che politici e diplomatici devono attivare nelle relazioni internazionali. Avevamo cominciato bene, con tentativi di dialogo, all’inizio delle ostilità, poi però ci siamo persi cadendo anche noi in un... bullismo di reazione.

La domanda per cogliere l’urgenza di riaprire il dialogo e la mediazione non è quanto tempo aspettiamo, ma quanti morti aspettiamo. Se ci convinciamo che minaccia contro minaccia non costruisce la pace, possiamo ancora farcela.

 

 

* Vi invitiamo a leggere anche Venti di... bullismoLa debolezza del bullo, Pacifisti?, La vogliamo davvero la pace?