VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 mag 2022

Mediazione, un impegno difficile ma irrinunciabile

La vogliamo davvero la pace?

 

Tra le diverse aree del mio lavoro, una delle più difficili e complesse è senza dubbio la mediazione familiare. Affrontare la conflittualità che porta, o ha già portato, due coniugi sulla strada della separazione richiede fatica e tanto impegno. Richiede, soprattutto, il convincimento che continuare sulla strada del conflitto non giova a nessuno. Anzi, al crescere del conflitto cresce altrettanto la sofferenza. L’astio, la delusione, il senso di fallimento. Consapevoli che recare danno all’altro serve soltanto ad accrescere la propria insoddisfazione. In entrambi i coniugi. Se poi in famiglia ci sono figli, questi ultimi diventano il ricettacolo del dolore. Le vittime sacrificali sull’altare della conflittualità. Quando poi tra i due contendenti s’inseriscono parenti o amici, spesso, con le loro prese di posizione, alimentano i problemi piuttosto che attenuare la tensione. E gli avvocati? Non è raro che, partendo lancia in resta per tutelare i diritti del proprio cliente contro chiunque altro, congelino la famiglia in un vero terreno di battaglia.

È qui il compito del mediatore familiare. Aiutare ciascuno dei due a mettere sul tavolo le proprie richieste e le proprie offerte. Ciò che chiede e ciò che è disposto a dare. Costruire una mediazione significa ritrovare un’area di pace. O, almeno, di non belligeranza. E significa soprattutto, per i figli, restituire loro il diritto a respirare. A uscire dai rancori che imprigionano i due genitori. Possono tornare a vivere. Non sarà come prima. Ma sarà comunque una condizione di maggiore quiete. Una condizione da cui ripartire per costruire.

 

Ora, mutatis mutandis, considerando cioè tutte le differenze, esperti d’ogni campo permettendo, facciamo un salto. Putin da una parte, Zelensky dall’altra. La guerra. Quella vera. Una guerra che Putin, contro ogni briciolo di saggezza, ha voluto e continua a volere. E gli ucraini continuano a subire. Il conflitto è evidente. La tragedia pure. Le vittime? Il popolo ucraino prima di tutti. Accanto, i militari, dell’una e dell’altra parte.

Ci sono anche qui amici parenti avvocati di parte che gettano benzina sul fuoco anziché acqua e schiumogeni antincendio? Sì, a mio parere. E molti.

Il mondo occidentale, Stati Uniti e Unione Europea, subito pronto non solo a schierarsi, com’è giusto di fronte alla violenza che l’Ucraina ha dovuto subire, con dichiarazioni solenni. Con le sanzioni nei confronti della Russia e con l’invio di armi all’esercito ucraino, da una parte. Dall’altra, con l’astensione o addirittura con il voto contrario, all’ONU, verso la condanna dell’invasione, e con l’offerta di possibili quanto nascoste alleanze alla politica di Putin, l’altra parte del mondo, Cina India Corea del nord accanto a qualche altro regime altrettanto autocratico.

 

Che Xi o Kim Jong-un non siano tifosi della pace mondiale non è una novità. Non lo è, per la verità, neppure per gli USA, tutt’altro che coerenti nell’impegno per la sua costruzione. Ma che l’Unione Europea non lotti per essa non possiamo accettarlo.

Subito ci siamo impegnati a sostenere il popolo ucraino nella sua difesa dall’invasione russa. Armi al suo esercito e sanzioni a Putin. Posizione sacrosanta. Pur criticabile. Ma la domanda, cui secondo me stiamo sfuggendo, è perché non mettiamo lo stesso impegno nell’attivare un intervento di mediazione tra le due parti? Abbiamo delegato a Erdogan. Così sembra. Ma noi dove siamo?

Biden continua a minacciare Putin, ostentando l’invio di armi all’Ucraina e buttando parole che giusto in un bar tra amici possiamo accettare. Mi pare tanto uno di quegli avvocati di parte che a proposito del marito da cui si sta separando rassicurano la donna: lo affamiamo!

 

Né vediamo i nostri governanti, Charles Michel, Ursula von der Leyen, Draghi e tutti gli altri attivarsi con ogni mezzo per avviare e portare avanti una mediazione. Che nell’immediato fermi la guerra, e subito dopo faccia ripartire il processo di ricostruzione.

Mi chiedo dov’è andato a finire quel whatever it takes, ad ogni costo, che ha reso il nostro presidente del Consiglio così punto di riferimento quand’era alla Banca Europea. Non sarà che siamo disposti a giocarcelo per una crisi economica, ma di fronte alla tragedia di un popolo che ogni giorno subisce morte e distruzione ci rifugiamo nel tiepido noi siamo dalla vostra parte? Mettendo a tacere la nostra coscienza democratica con qualche fucile o missile che gli regaliamo...

 

Se così fosse, allora la domanda che dobbiamo trovare il coraggio di farci diventa la vogliamo davvero la pace?

Costruire la pace, al punto in cui siamo, significa solo attivare reggere costruire sostenere il processo di mediazione. Dove ciascuno possa mettere sul tavolo ciò che chiede e ciò che è disposto a dare. Zelensky, l’Unione Europea, gli USA accanto a Putin, la Cina ed eventuali altri. Al posto di mediatore l’ONU. A che serve altrimenti?