VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

29 mag 2022

Di fronte alla guerra, entriamo anche noi nel conflitto

Pacifisti...?

 

Assaliti dalla guerra di Putin, ci siamo svegliati di soprassalto. Eravamo fiduciosi che la pace costruita dopo la tragedia della seconda guerra mondiale potesse ormai essere la cornice dentro cui vivere, noi e i nostri figli e nipoti. Ci siamo ritrovati invece, anche noi, catturati nel conflitto. Schierati e divisi. Pacifisti e non pacifisti. Con il rischio di non renderci conto che gli schieramenti portano (quasi) sempre a non ascoltare l’altro e a voler imporre le nostre posizioni.

 

Non amo la parola pacifista. Mi sa di passività. Rasenta il disimpegno. Lo so che chi la usa e con essa si identifica non le dà questo significato. Ma il rischio è costante. Non voglio poi neanche infierire troppo nei confronti di chi, pur facendo professione di pacifismo, s’incunea in polemiche verbali con toni che non costruiscono l’incontro. Meno ancora il dialogo. Dare a chi ha un pensiero diverso dal tuo del poco intelligente o addirittura del cretino o del buffone, come succede in certi dibattiti televisivi di questi mesi di guerra, a chi giova? A cosa giova? Non significa entrare a piè pari in una pòlemos (= guerra) con l’avversario di turno? Cosa costruisce, se non ulteriore conflitto? Perché sempre, qualunque cosa diciamo o facciamo, e nel modo in cui lo facciamo, le cose e le relazioni ne subiscono le conseguenze. In positivo o in negativo. A seconda di che cosa e di come seminiamo.

Non pacifisti quindi, ma costruttori di pace. Eirenopoiòi dice in una sola parola il greco antico. Due parole che si prendono per mano: eirène (pace) e poièo (fare, costruire). Perché la pace non viene da sola. Non bastano parole e dichiarazioni. Eirène senza poièo non vive.

Dire vogliamo la pace, chi non lo condivide? Chi, sufficientemente sano di mente, vuole la guerra? Dulce bellum inexpertis (la guerra è bella per chi non ne ha esperienza), expertus metuit (chi la conosce la teme), ricordava Erasmo da Rotterdam nei suoi Adagia, cinquecento anni fa.

 

Se guardiamo la storia, chi scatena le guerre è il dittatore di turno. Colui che ha la pretesa di racchiudere nelle sue mani tutto il potere. Di un popolo e su un popolo. Non solo. Oggi chi dichiara una guerra sa bene che dentro la guerra lui non ci andrà mai personalmente. Non prenderà mai un’arma in mano né dovrà difendersi dai proiettili del nemico. Cesare o Pompeo, Achille o Ettore, in guerra ci andavano di persona. Oggi le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono, ricorda Pablo Neruda. Non calzerà mai giubbotto antiproiettile né elmetto Putin l’aggressore. Mai si porrà alla testa dei suoi per conquistare il Donbass. Né passerà le notti dentro le trincee. Sono i poveri russi – poveri anche in senso socio economico – che vengono inviati a rischiare ogni giorno la vita per gli interessi che lui ritiene di dover tutelare.

Non ci può essere giustificazione nei confronti di chi, pur in mezzo a grosse difficoltà, per uscirne scatena una guerra.

 

Costruttori di pace. Il mestiere più difficile, credo. Ne abbiamo parlato all’inizio di questo mese.[1] Grande tolleranza richiede, accanto a pazienza e fiducia. Ma è una scommessa che non possiamo perdere.

Filone di Alessandria, un filosofo a cavallo del I sec., vede in Dio l’eirenopoiòs e l’eirenofỳlax, il costruttore e il custode della pace. Su questa scia arriva il pensiero di Gesù di Nazareth quando nel definire beati i costruttori di pace (eirenopoiòi), esplicita la ragione di tale beatitudine e di tale grandezza: saranno chiamati figli di Dio.[2] Nel pensiero semitico essere figli di qualcuno significa essere come questo qualcuno. Il figlio è l’immagine del padre. In quel contesto culturale chi vede e incontra il figlio, in lui vede e incontra il padre. Era, ed è, difficile pensare ad un’immagine più potente di quella usata da Gesù: chi costruisce la pace è come Dio. Sono beati coloro che lavorano per costruire la pace perché essi sono figli di Dio. Credenti o non credenti, quest’immagine che il Maestro di Nazareth dà di chi costruisce la pace a me pare immagine di luce.

 

Anche questi pensieri mi fanno dire che piuttosto che pacifista, preferisco guardarmi come potenziale costruttore di pace. Pace prima di tutto con me stesso. Con i miei pensieri, i miei progetti e, perché no? con i miei errori e i miei fallimenti. Pace con le persone che incontro. In casa e fuori casa. Pace con chi, venendo da altri mondi e altre culture, porta pensieri e valori diversi dai miei.

Ciascuno mettiamo il nostro pezzetto. Per sostenere il mondo della politica e dell’economia, il mondo delle culture e delle religioni a porsi come autentici costruttori di pace.

 

 

[1] Voce, 1 mag 2022

[2] Matteo 5,9