VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 feb 2021

Un pensiero di vita nella mente dei genitori adottivi

Un amore difficile

Ho incontrato i genitori di Elisa. Ha 12 anni e vive con loro da quando aveva pochi giorni. Sono preoccupati perché sempre più spesso ritorna con domande sulle sue origini. E soprattutto perché in occasione di qualche contrasto, inevitabile a quest’età, non si lascia sfuggire l’occasione di gridare tu non sei mia madre! E ogni volta, nel cuore di questa donna, si riapre una ferita. La ferita d’una maternità mancata. C’è il padre, certo. Ma in questo momento la ricerca di reciprocità se la giocano di più madre e figlia. Entrambe occupate a sanare una mancanza. Il padre, in questa come in tante altre famiglie, si colloca ai margini. E non s’ingaggia troppo nel sostenere la propria compagna e la loro figlia in questo momento di difficoltà.

 

La storia di Elisa e dei suoi genitori è la storia di tante famiglie adottive. È il difficile cammino che percorrono figli e genitori nel costruire un’appartenenza. Famiglie troppo spesso lasciate sole dai Servizi che, piuttosto che prendersene cura, sempre più frequentemente limitano il loro intervento al cosiddetto processo valutativo, inteso appena a verificare una qualche idoneità della coppia all’adozione.

Se pure è faticoso crescere un figlio – chi non l’ha mai provato!? – ancora più complessa è la cura di un figlio quando i genitori attuali sono diversi dai genitori che l’hanno messo al mondo. Elisa e i suoi oggi ci danno l’occasione per riflettere sulla fatica di questo lavoro.

 

Due aspetti, in particolare, proviamo a guardare. Le aspettative che accompagnano la ricerca di un figlio, e l’immagine che i genitori adottivi riescono a coltivare dei genitori biologici.

 

Arrivare alla decisione di adottare nasce, quasi sempre, da una ferita: la scoperta della propria infertilità. In lui o in lei qualche problema impedisce che, insieme, possano mettere al mondo un bambino. Non è facile fare i conti con questo limite. E il pericolo nel quale entrambi rischiano di cadere è di concentrare lì, nella mancanza di un figlio, tutta la loro relazione. Al punto, non di rado, da convincersi che solo un figlio può dare significato al loro progetto di famiglia.

Immersi in questa ricerca, possono venirne catturati al punto da far perdere alla loro relazione quei significati, quei valori che all’origine li avevano fatti incontrare e li avevano uniti così tanto da decidere di condividere la vita. Se è questo lo stato d’animo, questo il colore del loro rapporto, è facile comprendere a quali aspettative dovrà rispondere il bambino che verrà. Così alte che nessun figlio potrà mai soddisfarle pienamente.

Adottare significa aprire la propria casa a un figlio che una casa non ce l’ha. Il rischio è che piuttosto che donare una famiglia a un bambino, cadiamo nel processo inverso: cerchiamo un bambino per una famiglia. Un bambino che dia significato alla vita di due adulti che, da soli, lo stanno perdendo.

 

Ma ora il figlio è arrivato. Gli anni passano e Elisa chiede. Lei ha bisogno di uscire dal dolore di essere stata abbandonata. Questo è il vissuto di sottofondo e che ogni tanto riemerge. Soprattutto nei momenti di crisi. Chi può aiutarla?

Qui un altro rischio. Troppo spesso si manda il bambino da uno psicologo, quasi che lo specialista possa compiere la magia di sciogliere il dolore. Dimenticando così che la risorsa per un figlio, soprattutto a quest’età, sono i suoi genitori. Non altri. Sono loro che hanno bisogno di trovare dentro di sé pensieri positivi da offrire alla sua mente e al suo cuore. È quando questi non ce la fanno da soli che un professionista può essere d’aiuto. A loro.

Il primo pensiero positivo che i genitori adottivi hanno bisogno di scoprire è un pensiero di gratitudine verso chi ha messo al mondo quel figlio che ora abita la loro casa. E che è venuto a colmare quel vuoto che stavano vivendo. Ripeto, gratitudine. Non giudizio. Meno ancora condanna perché ha abbandonato un figlio.

 

È coltivando questo pensiero che potranno curare la ferita di Elisa. Aiutandola a sentire che la sua mamma l’ha amata. E l’ama ancora. Sacrificandosi al punto da separarsi da lei. Avrebbe potuto non farla nascere: non è così complicato interrompere una gravidanza. Invece l’ha voluta. L’ha fatta crescere dentro di sé. Sacrificandosi, per lei, al punto da rinunciare ad averla con sé dal momento che non sarebbe stata in grado di prendersene cura adeguatamente. Lasciandola, l’ha voluta mettere in una condizione di vita, assicurandole una famiglia. Un amore davvero difficile. Come difficile è questo pensiero. Ma solo questo può aiutare Elisa a sentire che anche lei nasce dal desiderio. Da un doppio desiderio. Della mamma che l’ha partorita e dei genitori con cui sta crescendo.

Su questa strada ri-troverà il suo diritto alla vita. Non abbandonata, ma doppiamente desiderata. E amata.

 

 

* Altri contributi: Una casa per un figlio, Due genitori, Il benessere dei bambini, Adozioni e bambini, Adozioni (e unioni civili)

* Per un ulteriore approfondimento: Diventare padre e madre, di G. Guidi