Diventare padre e madre attraverso la nascita biologica e adottiva

 

di G. Guidi - I CONTESTI DELLA NASCITA E LE TRASFORMAZIONI DELLA COPPIA, Accademia di Psicoterapia della Famiglia, Roma, 28 e 29 novembre 1997

PREMESSA

 

Vi dico quali sono i punti dentro i quali vi porto le mie riflessioni.

 

1. Il titolo di questa tavola rotonda è "Diventare genitori attraverso l'adozione...". Io mi sono permessa di porre l'accento sulla relazione tra questi due processi: (1) diventare genitore, (2) attraverso l'adozione. 
E' proprio esatto questo titolo, se preso nel suo significato completo. Adottare, infatti, è un processo che ognuno deve compiere se vuole diventare genitore: cioè, se vuole realizzare la dimensione di genitorialità. Questo processo è irrinunciabile sia nei confronti di un bambino biologico (verso il quale abbiamo esercitato anche la capacità riproduttiva) sia verso un bambino "riprodotto" da altri. Perché l'uno e l'altro di questi bambini possano diventare "figli" è necessario che siano "adottati". 
Adottare = ad (verso) + optare (desiderare) = significa desiderare qualcosa o qualcuno; implica un movimento (= ad) di scelta (= scelta), movimento attivo verso un oggetto, verso un altro. 
Questo è un punto che riprenderemo. 

 

2. Affrontare il problema della genitorialità, sia essa naturale o adottiva, significa porsi nell'ottica della coppia e della famiglia quali luoghi privilegiati dello sviluppo emotivo, intellettivo e sociale di figli e di genitori. 

 

3. I fenomeni che riguardano l'uomo hanno bisogno di essere colti all'interno di una duplice dimensione: quella biologica e quella culturale. 
Anche la nascita di un figlio come il processo di diventare genitori vanno collocati dentro questo contesto. 
Il desiderio di maternità e paternità non solo manifesta un’ovvia e determinante base biologica (sopravvivenza della specie), ma è anche all'origine della nostra cultura. 
La dimensione biologica della nascita di un figlio ci permette di cogliere il "debito" che l'individuo deve pagare alla specie: quello di garantirne la sopravvivenza. 
Ogni essere umano racchiude nella psiche un profondo desiderio di immortalità (conscio o inconscio). La procreazione rappresenta la via più semplice e concreta, biologicamente determinata, per raggiungere lo scopo desiderato. 
Un figlio rappresenta la realizzazione di questo desiderio di immortalità: è la memoria di sé che sopravvive nel figlio (la memoria biologica e la memoria della persona).

 

L'INCONTRO DI DUE DESIDERI
dell'adulto = diventare genitore
del bambino = diventare figlio

 

Il bambino per nascere ha bisogno di uno spazio dove entrare e dove poter crescere. Lo spazio inteso nella duplice dimensione di spazio fisico e di spazio mentale. 
Di solito una coppia che progetta un figlio (biologico o adottivo, non cambia) si pone il problema dello spazio fisico, dove collocare il bambino e come organizzare gli spazi della casa; meno riflette sullo spazio mentale, che significa dentro quale progetto questo figlio che deve venire sarà collocato. 
Come esempi possiamo dirci: il bambino immaginato come colui che viene a risolvere la solitudine dei una donna (o di un uomo); come colui cui si chiede di diventare il terapeuta per una coppia in crisi; come colui che deve saldare un conto aperto con i nonni; ecc. Oppure, in una prospettiva di salute, diventa il prolungamento della vita, cioè della prosecuzione della vita: noi coppia, inserita nel progetto vitale dell'umanità. 
E' come cercare di rispondere ad una domanda che è nella mente di queste due persone: che spazio c'è per questo bambino quanto la mente è piena di altri progetti: la carriera, il lavoro, gli affari? Nella mia casa interna, qual è lo spazio predisposto per il bambino? 
Lo spazio sia fisico che mentale è uno spazio che si deve modellare, adeguare al processo di crescita. 

Riflettiamo sulla dimensione biologica. Essa ci aiuta a cogliere la dimensione di soggetto nel bambino. 
Il prodotto dell'incontro tra un uovo e uno spermatozoo si presenta fin dall'inizio capace di vita autonoma: ciò di cui ha bisogno è di entrare in relazione con un ambiente che sia in grado di accoglierlo. Tra lui e questo ambiente inizia un dialogo nel quale lui è soggetto attivo. Sa cosa gli serve e lo chiede: la placenta - che pure è una sua costruzione - diventa il mezzo per comunicare con il corpo della madre. Tutto il processo di crescita evolve in questa interazione costante (qualche esempio: la placenta è una centralina estremamente sofisticata, il "programma" che esegue... è il bambino che chiede alla placenta ciò che gli serve ed è questa che "trasmette" al corpo della madre...). Perfino il travaglio viene deciso, nel suo inizio e nel suo procedere, dal bambino che trasmette le informazioni al corpo della madre (attraverso la placenta: biochimica...). Il bambino non è il prodotto del corpo della madre (cioè un oggetto). 

Il bambino ha bisogno di "apprendere" la sua dimensione di essere uomo, persona, di appartenere alla specie degli uomini: questo lo può realizzare solo se entra in una relazione di desiderio. La psicologia ci insegna che noi possiamo esistere solo se siamo riconosciuti: questo bisogno ci accompagna per tutta l'esistenza. 
La letteratura, l'arte, il cinema ci parlano di dialogo amoroso: Dialogo = dià (tra) - lògos (parola, discorso). Il dialogo parla di incontro. Senza il "tra" le persone non si incontrano; in questo nostro discorso, quindi, dobbiamo dire che senza la possibilità di un incontro, il bambino non può crescere così come l'adulto non può crescere. 
C'è una modalità esistenziale, che noi definiamo patologica, che è quella di una persona totalmente dipendente dall'altro. Questa relazione noi la definiamo simbiotica: è una relazione dove non c'è un "tra", dove non ci sono, cioè, due soggetti che possono dià-logare (= parlarsi). 
Nell'atteggiamento degli adulti, il bambino viene considerato troppo frequentemente come oggetto di relazione e non nella sua dimensione di soggetto attivo. 
Il bambino, invece, ha bisogno di essere accolto non solo come oggetto di desiderio (nel senso che è desiderato), ma anche come soggetto di desiderio, cioè chiede di essere accolto come portatore di un proprio desiderio (che significa, di un proprio progetto esistenziale...). 

 

LA FORZA DI UNA SCELTA ADOTTIVA

 

Costruire il posto per il bambino significa costruire la propria paternità e maternità. 
A volte ci facciamo una domanda, quasi una battuta, ma che, in realtà, è anche una domanda di fondo: "chi me lo ha fatto fare di fare questo figlio?" (o di adottare questo figlio?). Da dove ci viene questo bisogno di genitorialità? Il bisogno di fare un figlio esprime come un debito con la specie-uomo, dicevo prima (es. se non faccio figli, io individuo non garantisco la prosecuzione della specie), però l'uomo ha anche l'altra dimensione, quella culturale, mentale, che è la dimensione del desiderio (= essere in relazione con l'altro). 
E' questa dimensione che lo rende un animale unico rispetto a tutti gli altri. 
Questa dimensione, propria della specie-uomo, costringe l'uomo a fare i conti con la capacità riproduttiva (nel senso di presenza o assenza) e con la capacità creativa. Il suo rischio è di viversi o non viversi la capacità riproduttiva senza poterne cogliere la dimensione creativa/generativa.

 

A questo punto ci si pone una domanda importante: quanto il desiderio di paternità e di maternità risponde solo al bisogno di colmare una mancanza o quanto invece possa evolvere verso un'apertura ad un progetto. 
Qui è molto importante che proviamo a comprendere una cosa... noi stiamo parlando di una duplice dimensione: colmare una mancanza (= il bisogno di fare un figlio) e aprirsi alla capacità creativa/generativa (= il desiderio di incontrare un figlio).

 

Nota

 
Non è che l'apertura della capacità creativa avviene solo se ho colmato una mancanza (queste due dimensioni convivono; es. è come dire che uno è autonomo quando non è più dipendente, ma è la misura della dipendenza che fa crescere l'indipendenza). Questo pensiero, scontato per noi addetti ai lavori, non va assolutamente sottovalutato quando incontriamo le persone che si rivolgono ai nostri servizi... 

Mentre la dimensione riproduttiva è puramente biologica, la dimensione di creatività-generatività può permettersi di oltrepassare l'aspetto biologico. E' proprio la capacità e la possibilità di oltrepassare la dimensione biologica che ci permette di cogliere la forza di una scelta adottiva. 
L'adulto dovrà procedere verso il riconoscimento del proprio desiderio parallelamente al riconoscimento del desiderio del bambino. Questa è premessa fondamentale per la realizzazione dell'incontro tra due desideri, meglio ancora, tra due soggetti di desiderio. 
Un figlio biologico è la risposta dell'individuo (di due individui) alla legge della specie. Perché il figlio biologico possa entrare in una relazione di desiderio, propria della specie-uomo, è necessario che gli adulti si collochino in un processo di ampliamento della capacità riproduttiva coniugandola con la dimensione di creatività. E' necessario avviare un processo di adozione del proprio figlio: solo questo permette la trasformazione di una relazione biologica in una relazione di desiderio. 
Appare evidente, a questo punto, che non è soltanto il genitore adottivo che deve poter sviluppare la propria capacità generativa, quasi a compensare una mancata riproduzione; ma è assolutamente importante riflettere sul fatto che la capacità biologica non garantisce affatto una maternità-paternità sufficientemente buona, se non evolve verso una generatività creativa: perché è solo questa che garantisce lo spazio per il desiderio che, come abbiamo detto, permette la crescita di un nuovo individuo.

 

Un aspetto particolare, invece, va considerato per cogliere più pienamente la relazione adottiva. 
La ferita della sterilità biologica negli adulti è importante poterla guardare e lavorarci fino a permettersi il "lutto". L'avvio di questo processo ci dà la possibilità di aiutare il bambino a permettersi il proprio lutto, perché anche lui viene da un abbandono (= lutto), da una mancanza. 
E' l'incontro tra due lutti che evolve verso l'incontro tra due desideri. Si può incontrare la solitudine dell'altro (in questo caso, del bambino) se siamo capaci di incontrare la nostra solitudine, nel senso, qui, della non-capacità di proiettarsi verso il futuro. 
Ambedue questi lutti vanno colti nella duplice dimensione della biologia e della cultura. 
a) Per l'aspetto biologico
- la perdita che l'adulto deve poter incontrare è data dalla mancanza della propria capacità riproduttiva, 
- mentre il bambino ha perduto la fisicità con la propria madre; 
b) per l'aspetto culturale, ambedue si trovano a dover abbandonare, in parte, la propria storia per entrare in un'altra. Gli adulti e il bambino devono poter incontrare la propria storia (familiare e culturale), farla propria come un patrimonio da portare per entrare in una nuova storia che insieme sarà costruita.


Un processo di adozione "sufficientemente buono", dunque, non può che essere reciproco: da parte dell'adulto e da parte del bambino. Nel senso che anche il bambino, per diventare "figlio" dovrà poter adottare i due adulti come propri "genitori".

 

 

V. anche Adozione, Adozioni e bambini, Adozioni, una casa per un figlio