VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

2 apr 2017

Il Tribunale per la famiglia è ancora un miraggio

Bambini... sospesi

Signor Presidente della Repubblica, non ci rimane che ricorrere a lei. A nome di tutti quei bambini e ragazzi incastrati tra le maglie di una giustizia che non riesce a vederli. Che non sa vedere la loro sofferenza, prigioniera com’è di meccanismi antiquati non più in grado di guardare la realtà di oggi. Quella realtà che nasce dalla crisi che sta vivendo la famiglia nel nostro paese. Una famiglia su tre si trova in mezzo a processi di separazione o di presunta o reale inadeguatezza di uno o di entrambi i genitori. Con servizi consultoriali affogati tra burocrazie infinite e personale sempre più ridotto. Con strutture giudiziarie antiquate e inadeguate di fronte alle problematiche che devono affrontare tante nostre famiglie.

 

Ormai da tempo come addetti ai lavori, nel settore giudiziario e in quello psico-socio-sanitario, stiamo chiedendo l’istituzione del TRIBUNALE PER LA FAMIGLIA.[1] Ma tra crisi di governi e scarsa sensibilità degli uomini della politica, la richiesta rimane nei cassetti del Parlamento dove, di legislatura in legislatura, nient’altro riceve se non nuova polvere che va ad accumularsi su quella che già la ricopriva.

Continuamente arrivano, nei nostri studi di psicoterapeuti e di mediatori familiari, genitori separati i cui figli, oltre che prigionieri del fuoco amico (quello tra i genitori ai quali i servizi pubblici sono sempre meno in grado di offrire l’aiuto professionale di cui hanno bisogno), si ritrovano anche incastrati nei tempi di una giustizia i cui occhi si mostrano incapaci di vedere la differenza tra una lite di condominio e una problematica familiare. Magistrati sommersi da faldoni infiniti che li costringono a passare da un tema all’altro, in mezzo ai quali arrivano sempre più spesso famiglie che attendono una risposta; avvocati che, tra una problematica e un’altra, s’improvvisano esperti matrimonialisti. Gli uni e gli altri incapaci – non certo per cattiveria o disonestà intellettuale, ma per impreparazione professionale – di cogliere la differenza tra il danno che arrecano sei mesi di attesa in una lite condominiale o in un ricorso per questioni fiscali, e il danno che lo stesso periodo di attesa provoca nella vita di un bambino di due anni o anche di quindici.

 

Gli uomini della politica, al governo o all’opposizione, si stanno rivelando incapaci di guardare a questa problematica. Perfino quei gruppi di cittadini, laici o religiosi, pronti a marciare pro o contro l’una o l’altra iniziativa, diventano ciechi di fronte alle inadempienze della giustizia. Chi si occupa, in Parlamento, di un bambino di quattro anni che da tre è inserito in una comunità-alloggio e vi resterà ancora per un tempo indefinito? Tribunale per i minorenni, giudice ordinario, giudice tutelare, decreti, disposizioni, ricorsi e controricorsi, avvocati e magistrati imprigionati essi stessi dalle procedure... E quel bambino? E quei genitori che si logorano, giorno dopo giorno, in una conflittualità aperta o sotterranea? Chi li vede?

Certe volte sembra di assistere a giochi al rimbalzo. Tra un magistrato e un altro, tra un livello di giudizio e un altro, tra un avvocato e un altro. Di nuovo INCAPACI di vederlo, quel bambino. Capacissimi, invece, di muoversi tra le carte. Le procedure. I cavilli della legge.

Si parla di riforma della giustizia. Dov’è andato il progetto di istituire il TRIBUNALE PER LA FAMIGLIA? Organo giudiziario capace, finalmente, di imboccare occhiali che facciano comprendere la complessità delle questioni e l’urgenza di fornire risposte adeguate, nei tempi e nel merito, alle problematiche familiari.

 

I governi cambiano. Gli uomini che risiedono in Parlamento un po’ meno. Ma ciò che colpisce è l’incapacità, diffusa tra loro, a vedere l’urgenza di disporre di un organo giudiziario davvero COMPETENTE – ripeto, nel merito e nei tempi – di fronte alle problematiche che la famiglia oggi sta vivendo. Finché avremo bambini di quattro anni, tre dei quali già vissuti in una comunità e senza prospettive certe, non possiamo dirci paese civile. Né possiamo dirlo finché continueremo a lasciare che giochi di parte blocchino proposte di riforma per una giustizia che sappia rispondere con competenza alla famiglia di oggi.

 

Signor Presidente, terremoto, terrorismo, crisi economica... tutto questo richiede tempo e attenzione. Certo. Ma chi avrà il coraggio di dire a quel bambino che il suo problema è l’ultimo tra gli ultimi, perché le riforme, l’economia, l’immigrazione... sono più importanti di lui? Voglio sperare che la sua attenzione sappia tradurla in un intervento che dia a un giudice la forza di dire a quel bambino che il suo problema è il primo. Perché noi siamo un popolo civile.

Grazie, Signor Presidente.

 

[1] La mente e l’anima, Vol. 1, pag. 324;  Vol. 2, pag. 249;  Vol. 4, pag. 106, pag. 179