VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 ott 2012

Impariamo ad ascoltare i bambini

I competenti, ma... incompetenti

Tutta la stampa ci ha parlato, in questi giorni, di un bambino di dieci anni prelevato dalla scuola e portato via a forza dalla polizia su mandato della Magistratura. Su questo caso particolare noi non possiamo dire, perché non lo conosciamo direttamente e non abbiamo quelle informazioni che ci permetterebbero di fare un’analisi corretta e una valutazione appropriata. Circa il modo in cui il bambino è stato prelevato e ‘caricato’ dalle forze dell’ordine, invece, possiamo dire: come minimo possiamo dirlo incivile. Io direi di più, disumano.

 

Ma non è questo il punto più grave. Perché più grave ancora è che decisioni di questo genere vengano prese da persone che non dispongono della necessaria competenza per prenderle.

Provo a spiegarmi. La Magistratura minorile (così sono detti quei magistrati che lavorano nei Tribunali per i Minorenni) ha tutta la competenza ‘legale’ per prendere queste decisioni. La legge, cioè, dà a loro il compito di tutelare i bambini e i ragazzi minorenni. Di tutelarli non solo da possibili abusi o ingiustizie che possono subire da adulti o da altri minorenni, ma anche da abusi o anche solo trascuratezze gravi che possono incontrare perfino in famiglia. Dai loro genitori.

 

Il punto è che chi ha il compito di garantire una simile tutela – chi, cioè, ha la competenza legale a valutare, quindi a prendere decisioni – non ne ha la competenza professionale. È vero che i Tribunali per i Minorenni si avvalgono dei professionisti dei consultori familiari dove operano psicologi, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali. Ma i magistrati e gli avvocati che si occupano di Diritto di Famiglia non hanno una formazione specifica, non hanno né l’obbligo né la possibilità di frequentare veri Corsi di Specializzazione nel settore. Non ce ne sono.

Sono specializzati sì, ma per quanto riguarda le disposizioni di legge. Non lo sono nella conoscenza della complessità della famiglia e delle relazioni familiari. Non che essi debbano diventare degli psicologi, ma non si può mettere in mani non sufficientemente preparate il compito e il potere di decidere su questioni tanto ampie e altrettanto drammatiche per la vita delle famiglie.

 

È da tempo ormai che gli specialisti nel settore parlano della necessità di istituire un TRIBUNALE PER LA FAMIGLIA. Un Tribunale, cioè, dove operino magistrati in grado di affrontare tutte le questioni che riguardano la vita familiare, compresa la tutela sia dei figli sia dei genitori. Altrettanto va detto per gli avvocati. Anche tra loro, chi si occupa di diritto di famiglia dovrebbe studiare e conoscere bene la complessità delle dinamiche relazionali che si attivano all’interno di una famiglia. Non basta la conoscenza delle leggi scritte (= il diritto di famiglia). È altrettanto necessaria la conoscenza delle ‘leggi’ che regolano le relazioni affettive. Quelle tra figli e genitori. Quelle tra i due genitori, padre e madre. Quelle tra e con i nonni e l’insieme delle famiglie d’origine.

Noi ne parlammo già un’altra volta, proprio due anni fa, nell’ottobre del 2010.

 

Ora qui mi fermo. Perché la vicenda di quel bambino ci mette davanti ad un altro punto. Da considerare con altrettanta attenzione. Riguarda gli specialisti dei Consultori: psicologi, neuropsichiatri infantili e assistenti sociali. Anche loro hanno bisogno di specializzarsi nella conoscenza e comprensione della complessità delle relazioni familiari. Da un po’ di tempo anche in Italia si parla di un nuovo ‘disturbo’ presente in certi bambini. Quasi fosse una malattia. L’hanno inventata gli americani (Gardner 1984). La chiamano PAS (Parental Alienation Syndrome, Sindrome – parola che possiamo tradurre con malattia – da Alienazione Genitoriale): ne soffrirebbero quei bambini che, in situazioni di separazione tra i genitori, da parte del genitore con cui vivono (in genere la mamma) vengono ‘allontanati’, concretamente e affettivamente, dall’altro genitore (in genere il babbo).

Ora, che un bambino in queste condizioni non possa crescere bene, è indiscutibile. Un bambino ha bisogno di avere tutti e due i suoi genitori – ne abbiamo parlato tante volte in questi nostri incontri. Ma che dobbiamo trattarlo come fosse un malato, quindi da ‘curare’, questo NO!

Non è il bambino che va curato. Di lui dobbiamo prenderci cura. Che è ben altra cosa. Dobbiamo, cioè, lavorare con i suoi genitori perché sia l’uno sia l’altro possano vedere il bambino e i suoi bisogni e non lasciarsi travolgere dai loro reciproci rancori e rivendicazioni. Vissuti, nella realtà e negli affetti, sulle spalle dei figli.

 

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Voglio ringraziare tutti coloro che sono venuti sabato scorso all’incontro di presentazione del libro LA MENTE E L’ANIMA, senza lasciarsi spaventare dal diluvio che ci ha accolti! Ne parleremo insieme in uno dei prossimi incontri.