VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

18 dic 2022

La salute del pianeta terra è solo nelle nostre mani

Il settimo giorno

Un quadro, una poesia, un brano musicale... se proviamo a tradurre con parole emozioni e sensazioni che li accompagnano, subito percepiamo il limite con cui le parole rinchiudono l’opera d’arte. Pittore poeta o musicista, il suo sguardo è troppo ampio per essere raccolto in una spiegazione. Per quanto ampia e profonda essa possa essere. Questo, del resto, è il fascino e il mistero della creatività artistica.

Tra le creazioni più affascinanti, a mio parere, dobbiamo collocare il mito. Tanto semplice nella sua formulazione e nel suo svolgersi, quanto profondo nella ricchezza dei significati che racchiude. Su Edipo Freud ha costruito il castello della psicoanalisi. Al punto che parole come relazione edipica o semplicemente l’edipo sono diventate linguaggio quotidiano, al bar o fra amici, ogni volta che guardiamo una madre e un figlio, o una figlia con suo padre. Così Ulisse nella ricerca del sapere e della conoscenza, Atlante chi sente di dover reggere il mondo sulle spalle, o Cupido che ci colpisce con le frecce dell’amore.

 

Nelle prime pagine della Bibbia due miti narrano le origini del mondo. Un primo racconto nasce intorno al VI sec. a.C. Descrive il Creatore (ebr. Elohìm) che in sei giorni con dieci parole chiama alla vita l’universo, creatura umana compresa.[1] Il secondo, le cui origini risalgono a quattro secoli prima, è più attento alla relazione di Dio con l’essere umano (ebr. adàm). Nel dargli vita e nel prendersene cura.[2] Oggi guardiamo il primo di questi racconti.

In sei giorni l’intero universo prende vita. Esso nasce dalla parola del Creatore. Ha iniziato Elohìm a creare il cielo e la terra. La terra era nel caos e la tenebra ricopriva l’abisso... Vi sia luce! dice Elohìm. E con la luce arrivano il giorno e la notte. Il cielo, la terra e il mare. Poi il sole la luna e le stelle. Nascono e fioriscono le piante. Quando poi terra cielo e mare sono pronti, si popolano di vita. E al sesto giorno il culmine: Noi faremo l’adàm, a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza dice Elohìm. (La parola adàm nasce da adamàh terra, come in italiano da terra viene terrestre). È l’essere umano, il terrestre per eccellenza. Il punto più alto della creazione secondo il mito. Nello stesso tempo il nome con cui il Creatore lo chiama, terrestre, sta a ricordargli la sua origine e la sua appartenenza.

Il racconto però non si ferma. Dopo i sei giorni di attività, arriva il settimo giorno. Per ben due volte il testo ebraico usa qui un verbo particolare: shabat, cessare (da cui la parola sabato). Nel giorno settimo Dio aveva cessato da ogni opera che aveva fatto.

Il settimo giorno è il tempo attuale. Il nostro tempo. I sei giorni della creazione sono come una descrizione, poetica, dei 13miliardi700milioni di anni di cui parlano le scienze oggi quando ci rappresentano il tempo dell’universo che conosciamo. A questa distanza temporale, infatti, esse collocano il big-bang, l’inizio di tutta l’evoluzione.

 

Anche qualche anno fa ci fermammo a riflettere di fronte a un giorno così particolare.[3] Altri due pensieri, oggi, guardando il Creatore che cessa da ogni sua opera, possiamo ascoltare da questo mito.

Il primo. La terra, questa parte dell’universo cui apparteniamo, è nelle nostre mani. Homo sapiens è il solo essere vivente capace di operare trasformazioni. Nel bene e nel male. Il Dio-creatore affida al terrestre la sua casa. Gliela consegna, con il compito di prendersene cura. L’intero pianeta, con tutti i suoi abitanti, piante animali esseri umani, ci è dato in affido e in custodia. Dio ha completato la sua opera, e ora ha cessato (shabat) il suo intervento. L’iniziativa, adesso, è tutta nostra. La Vita è nella nostra responsabilità. Piena. Possiamo facilitarla o ostacolarla. Favorirne la crescita o impedirne l’evoluzione.

L’altro pensiero. Se guardiamo a come stiamo trattando questo nostro pianeta, è difficile dirci amministratori buoni. O addirittura saggi, come il titolo che ci siamo attribuiti sapiens farebbe pensare. Inquinamento, squilibri, sfruttamento delle risorse, estinzione di tante specie, disuguaglianze tra popolazioni. Come non bastasse, guerre e distruzioni. La guerra come strumento di incontro scontro, di potere e supremazia tra appartenenti alla stessa specie. I sapiens.

Perché Dio non interviene a rimettere le cose a posto? Così risponde il mito: perché Lui ha affidato al terrestre-uomo la cura di questa parte del creato che chiamiamo terra. E non sa rinunciare al rispetto della libertà con cui ci ha plasmati.

Il settimo giorno è la nostra parte di attività creativa. Il nostro tempo. Solo noi possiamo decidere come giocarcelo. In direzione della morte. O verso la vita.

 

[1] Genesi 1,1-2,3

[2] Genesi 2,4-23

[3] Voce, gennaio 2010

 

 

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