VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

22 mag 2016

Impariamo a leggere i dati e a lasciarci interrogare

La crisi della famiglia

Ora vi do qualche numero: non vi spaventate!

In Italia il 1970 ha visto 500mila matrimoni; il 2014 190mila. Nel 1995 abbiamo avuto 158 separazioni e 80 divorzi ogni mille matrimoni; nel 2011 sono diventati rispettivamente 311 e 182: il doppio. Un altro dato: nel periodo 2004-2009, 33 matrimoni su cento (uno su tre) è iniziato con una convivenza; nel 1974 erano soltanto 1,4 su cento.

Perché questi numeri oggi, e in un modo così asciutto? Perché questi numeri possono aiutarci a riflettere. E a non nasconderci dietro il dito. O, se più vi piace, a non mettere la testa sotto la sabbia. Quale dito e quale sabbia? Non è difficile intuirlo. Ma andiamo con calma.

 

Tutti lamentiamo la crisi della famiglia. Ed è così. Ma quando andiamo alla ricerca delle cause, succede spesso che ci lasciamo deragliare da certi nostri pensieri. Da certi nostri valori. E, non ultimo, da qualche nostro pregiudizio. Il tutto, più o meno consapevolmente.

 

Questi giorni, l’11 maggio, la proposta di legge sulle unioni civili e sulle convivenze è stata approvata in via definitiva dal Parlamento. Ora la Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze è legge dello Stato.

Di nuovo abbiamo riacceso le micce e ripreso le ostilità. Tra favorevoli e contrari. Tra soddisfatti e insoddisfatti. Nascondendoci, a volte, perfino dietro motivazioni religiose o presunte tali, pur di sostenere le nostre opinioni personali.

Dico questo senza recriminazione, dal momento che io ritengo più che legittimo sostenere le proprie opinioni, esprimerle, motivarle. Lottare per esse. Anche con l’obiettivo di convincere e di portare dalla nostra parte chi la pensa diversamente. È la nostra ricchezza la capacità di pensare, di riflettere, di farci delle opinioni sui vari temi. Coniugata, ovviamente, con la capacità di ascoltare l’altro e di confrontarci con lui. Anche quando il suo punto di vista è lontano dal nostro. Ed è la ricchezza di una società civile la possibilità di esprimersi, di confrontarsi, di misurarsi gli uni con gli altri. È il gioco della democrazia. È la civiltà di un popolo.

 

In altre occasioni ho già espresso il mio pensiero sulle unioni civili e abbiamo avuto anche la possibilità di dialogarne apertamente con qualcuno di voi.[1] Quindi ciò che oggi voglio fare non è tornare sulla legittimità e necessità di questa legge, quanto invece provare a riflettere su un’associazione che sento, e ri-sento, fare molte volte tra la regolamentazione delle unioni civili, il riconoscimento legale ad una vita di coppia tra persone dello stesso sesso (omoaffettive), e la crisi della famiglia.

 

È questo passaggio che trovo improprio. I numeri con i quali oggi abbiamo iniziato mi pare che lo evidenzino bene. Se in quarant’anni i matrimoni si sono ridotti a poco più di un terzo, è difficile attribuirne la causa alle unioni civili. Se in poco meno di venti il tasso di separazioni e di divorzi risulta raddoppiato, non è un po’ difficile attribuirne la causa al riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso?

 

Legittimo è non condividere questa legge. Altrettanto lo è, a mio parere, lottare per cambiarla o, addirittura, per abolirla. Personalmente la ritengo una posizione sbagliata. Ma è il gioco della democrazia. E lo rispetto.

Ma non trovo legittimo associare fenomeni che tra loro non hanno nulla da spartire. La legge che arriva nel 2016 non può aver prodotto effetti che già si annunciavano mezzo secolo fa. Questo rischia di essere il dito, di cui parlavo sopra, dietro il quale andiamo a nasconderci.

 

Secondo me dovremmo farci qualche altra domanda se vogliano avvicinarci a questa legittima preoccupazione sulla crisi della famiglia.

 

Ora provo a dirne qualcuna. Poi magari ci ritorneremo.

Due sono per noi, cinquanta-sessantenni di oggi. La prima: quale modello di famiglia abbiamo passato ai nostri figli, attuali venti-trentenni, se questi preferiscono convivere piuttosto che sposarsi? La seconda: in quale modello, in fatto di assunzione di responsabilità, li abbiamo cresciuti se oggi alla prima difficoltà essi rovesciano il carretto invece che rimboccarsi le maniche e affrontare i problemi che la vita in famiglia, inevitabilmente, accanto alle gioie, porta con sé?

 

Una domanda ai giovani. Cos’è che vi fa paura nel pensiero di un ‘per sempre’ come guida nella costruzione di una famiglia? È vero, respiriamo aria di grande precarietà nel mondo dell’economia. Ma attenzione a non lasciare che la precarietà inquini perfino le relazioni umane. Prima fra queste, una relazione d’amore. Anche se noi più grandi non siamo stati così bravi a passarvelo, non dimenticate che l’essere umano è più forte dell’economia. Questa è fatta di cose. Noi siamo Energia di Vita.

 

[1] I più recenti: La mente e l'anima, Vol. 4, pag. 164, pag. 191