VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

25 feb 2024

Da due anni è guerra anche in Europa

Tra parola e azione

Quando la settimana scorsa ci chiedevamo se sia più intelligente il virus o homo sapiens, non era un gioco. Anche se la domanda poteva apparire quasi giocosa. La drammaticità di come stiamo gestendo questi nostri tempi non ci concede troppe ragioni per sorridere. Sono passati due anni da quel 24 febbraio, quando a svegliarci dal torpore in cui c’eravamo accomodati sono arrivati i carrarmati di Putin. E in questi due anni non siamo stati capaci di prendere sul serio il problema e attivarci per fermare la guerra e metterci in relazione con un piccolo dittatore, prigioniero della sua stessa paura. È nella capacità di affrontare e risolvere i problemi che la vita ci pone davanti che si misura l’intelligenza. Così, infatti, valutiamo l’intelligenza di un bambino. Così quella di un adulto.

Cosa abbiamo fatto in questi due anni? Putin non può certo perdere la faccia da quando la sua operazione speciale lampo lo ha travolto in una vera e propria guerra. Evidenziando in lui e nei suoi collaboratori una totale incapacità di analisi. E il resto del mondo? Praticamente schierati su due fronti, semineutrali da una parte e fornitori d’armi all’Ucraina dall’altra. Con un disimpegno totale nella concretezza delle relazioni internazionali. Né Biden né Xi né i capi di governo delle nazioni europee hanno mosso un dito concretamente, ripeto concretamente, per fermare le armi e attivare un dialogo vero tra le parti. Ciascuno incastrato nel difendere la propria posizione, nella totale incapacità di ascoltare anche le ragioni dell’altro. Del nemico. Sì, del nemico. Appena qualche settimana fa ci dicevamo che unica condizione per attivare prospettive d’incontro è giocarci la capacità di ascoltare le ragioni dell’altro. Anche quando non le condividiamo. Anzi, è proprio quando siamo nel disaccordo che ce n’è più bisogno. E come se due anni di guerra in casa non fossero sufficienti, nel vicino Medio Oriente un’altra guerra, che in quattro mesi ha già causato oltre trentamila morti, non lascia intravvedere vie di tregua e di dialogo. E le democrazie del mondo stanno a guardare.

 

Complesse sono le analisi degli esperti di geopolitica e molteplici le ragioni che supportano questa posizione. Interessi di parte, campagne elettorali imminenti, giochi di potere interni o internazionali. Con l’occhio di chi conosce un po’ la psiche degli umani è difficile non vedere in tutto questo, al fondo, residui di maschilismo adolescenziale. Ingaggiato ciascuno nella gara a chi di più… È di questi giorni la notizia che la Russia sta lavorando a un nuovo progetto di arma nucleare che non solo sfuggirebbe agli attuali sistemi difensivi, ma porterebbe a collocare armi nello spazio per colpire le comunicazioni e accecare i satelliti degli avversari. Pardon, dei nemici. Ecco, questa la stupida verità di homo sapiens che non s’è accorto, ancora, di appartenere ad un’unica famiglia. La famiglia umana. Non ha compreso che se oggi hai tu la capacità di sopraffare l’altro, se non è domani sarà il giorno dopo, ma sarà lui poi a distruggere te. Il tutto a vantaggio di chi? Più volte ci chiedevamo, la settimana scorsa, se è intelligenza questa. Teniamola aperta la domanda. È intelligenza questa?

In compenso Putin è tra coloro che sollecitano Israele a fermare le ostilità a Gaza. Sì, avete capito bene, lui Putin. Lui che da due anni sta portando morte e distruzione in Ucraina. Quando… coerenza o sfacciataggine, onestà o disonestà hanno perso ogni significato. E proprio questi giorni nel carcere siberiano Lupo polare è morto (fatto morire!?) Aleksei Navalny, il grande oppositore. L’avversario politico che nonostante l’avvelenamento subìto qualche anno fa, ha avuto il coraggio di tornare in Russia per portare avanti il suo progetto di libertà per i cittadini della Federazione. Il mese prossimo ci saranno le elezioni del presidente. Elezioni? Sì, le chiamano così in Russia.

 

In tutto questo mare di stupidità chi dice una parola di pace? Giusto un vecchio saggio, da una finestra dell’ultimo piano che s’affaccia su una grande piazza. Applaudito da molti. Ascoltato da nessuno. No, direte, sono molti che parlano di pace. Sì, sono molti, politici e capi di governo, che dicono la parola pace. Ma poi? C’è un termine per dire parola nell’ebraico antico. Dabar. Significa parola, ma anche azione, evento. Una parola pronunciata produce un effetto: se non produce è suono vuoto.

Quante divisioni ha il papa? chiedeva Stalin quando a Yalta gli dicevano che bisognava tener conto anche delle sue posizioni nel riscrivere gli assetti geostrategici del dopoguerra. È che lui, come il suo erede a Mosca, e non solo lui purtroppo, pensava che soltanto con le armi si costruiscono gli equilibri nel mondo. Ma se non usciamo da questo pensiero, saremo noi le prime vittime di noi stessi.

 

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