VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 gen 2024

Il difficile viaggio nei sentieri della pace

Le ragioni dell’altro

Chi non è convinto di avere ragione? Nelle sue idee, nell’agire quotidiano, nelle discussioni con gli amici, in famiglia. Un pensiero saldo il nostro: nell’incontro, o nello scontro, io ho ragione; gli altri, se la pensano diversamente, sbagliano. Del resto è comprensibile, pure intelligente, questo pensiero: se dovessimo dire con noi stessi che stiamo tenendo una posizione sbagliata, che ragioni abbiamo per conservarla? La cambieremmo. Subito agiremmo in modo diverso. Così da poterci sentire ricollocati dalla parte giusta.

Dove nasce il problema, allora? Nasce quando il nostro pensiero è così fragile che non ha la forza di accettare il confronto con un pensiero diverso. A quel punto diventiamo rigidi: chiudiamo tutto e non ascoltiamo nessuno. Nessuno che la pensi e la veda diversamente da noi. Ottima posizione per costruire e coltivare un terreno fecondo perché possa nascere il conflitto. Dallo scontro verbale allo scontro fisico. Fino allo scontro... armato. Semplicistico questo ragionamento? Temo di no.

 

Proviamo a guardare da un altro punto di vista. Se vogliamo conservare, costruire o, più ancora, ri-costruire relazioni di pace, non possiamo fare a meno di comprendere posizioni e ragionamenti differenti dai nostri. Attenzione, comprendere non significa giustificare. Né significa rinunciare alle proprie posizioni e abbracciare tout court le ragioni dell’altro. Comprendere significa ascoltare, permettere all’altro di esporre il suo pensiero, il suo punto di vista. Cercare di cogliere quegli aspetti, quelle osservazioni che lo portano a sostenere la sua posizione. Se il nostro pensiero è sufficientemente solido, non teme il confronto. Anzi, dal confronto ne uscirà arricchito. Perché sempre, quando ci rinchiudiamo nelle nostre posizioni, andiamo a sollevare barricate, mura di cinta, maschere impermeabili che non lasciano passare non solo agenti potenzialmente inquinanti, ma neppure l’ossigeno di cui il pensiero stesso ha bisogno se vuole vivere. Riuscire a dare spazio al diverso, a ciò che si può cogliere ponendosi su un punto di osservazione altro da quello che abitualmente abitiamo, può diventare occasione preziosa per un possibile cammino di crescita. Per una comprensione più ampia della realtà.

È vero, non sempre riusciamo ad essere consapevoli che piuttosto facilmente ci ritroviamo in un sistema relazionale fatto di fazioni, partito preso, ideologie rigide, chiusi ad ogni possibile confronto. Riconoscere all’altro il diritto ad avere un suo pensiero che nasce da osservazioni e analisi che a noi possono sfuggire, o che, dal nostro punto di vista non sono poi così significative, non è posizione facile. Né facilmente sostenibile. Molto più semplice, e abituale, è la tendenza a screditare le posizioni e le argomentazioni altrui.

 

Immaginiamo che Putin due anni fa avesse avuto la forza di portare il suo pensiero su un tavolo, internazionale, dove esporre le ragioni che lo facevano sentire minacciato, o comunque in pericolo, vista la presenza dell’Alleanza Atlantica ai confini della Federazione Russa. Avrebbe avuto il bisogno di ricorrere ai missili e ai carri armati? Direte: ma se non ha neppure il coraggio di confrontarsi, all’interno del suo paese, con elezioni vere piuttosto che tarocche; se con gli avversari politici non sa prendere altra strada che la rieducazione nei gulag siberiani o la terapia al polonio, come puoi chiedergli di sedere su un tavolo di confronto? E avete ragione. Questa è la riprova di come una posizione debole per sopravvivere ha bisogno di diventare rigida. Chiudendosi, così, ad ogni possibilità di dialogo.

Immaginiamo che Hamas o Hezbollah o l’Autorità Palestinese avessero la forza di portare su un tavolo di trattative la costruzione dell’autonomia politica e territoriale per il proprio popolo; o Netanyahu, di fronte all’aggressione del 7 ottobre, avesse avuto la forza di portare a livello sovranazionale il dramma di tanta disumanità, sarebbe entrato nella spirale dell’occhio per occhio moltiplicato mille che non lascia intravvedere, a tutt’oggi, spiragli d’uscita?

E con quale diritto, a ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, cinque nazioni si arrogano il diritto di imporre, ciascuna, il proprio punto di vista – tale è il significato pragmatico del diritto di veto – di fronte alle altre 188 che con loro formano l’intera ONU? Anche questo è espressione di una posizione debole che non sa accettare il confronto con punti di vista diversi.

 

Ecco. Le ragioni dell’altro. Riconoscere all’altro la medesima dignità che riconosciamo a noi stessi è il lavoro più difficile che si possa fare. Duemila anni fa un Maestro, dal pensiero forte, parlava così ai suoi: Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.[1] Troppo sovversivo questo pensiero? Sì. Tanto che politica e religione, in perfetto accordo, allora l’hanno condannato a morte. E oggi dove siamo?

Scriveva Spinoza, XVII secolo: “La pace non è assenza di guerra; è una virtù, uno stato mentale, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia”.

 

[1] Matteo 7,12; Luca 6,31

 

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V'invitiamo a leggere:  La verità e la non violenza,  Eirenopoioi (con i relativi rimandi)