VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

15 ott 2023

Tra uomini-putin e uomini-gandhi, dove siamo?

Homo homini... homo

Qual è l’animale più pericoloso per l’essere umano? E quale il più prezioso? Una sola risposta c’è a queste due domande: l’animale più pericoloso e l’animale più prezioso per l’essere umano è lui stesso. L’essere umano. Tali siamo, noi, per noi stessi. E tali siamo per la nostra casa, il pianeta terra. Pensiero sintetizzato magistralmente da Erasmo, cinque secoli fa: homo homini aut deus aut lupus (l’essere umano è per se stesso o dio, cioè energia di vita, o lupo, energia di morte). E non c’è via d’uscita da questo dilemma. Con una parola a difesa... del lupo che quando incontra un uomo con la vera pace nel cuore, sa accordarsi con questa e porsi amico anziché nemico: il lupo di Gubbio con Francesco d’Assisi coniuga mitezza anziché violenza e aggressività. Non è così, sembra, per noi umani. Divisi tra uomini-gandhi e uomini-putin. Aspetti che convivono, credo, anche in ciascuno di noi. Capaci di essere, l’uno per l’altro, o dio o lupo. O più semplicemente homo: in un’oscillazione continua tra l’alleato più prezioso e il nemico più pericoloso.

 

Giovedì scorso un missile russo esplode a Hroza, villaggio ucraino, durante una veglia funebre, e uccide cinquantadue persone inermi. Lo stesso giorno, come un adolescente che vanta le sue misure, il presidente russo rivendica con orgoglio l’esito positivo di un super missile a propulsione nucleare: “Abbiamo testato con successo il missile Burevestnik” dice, aggiungendo poi che la risposta di Mosca ad eventuali attacchi sarà tale “che il nemico non avrà la possibilità di sopravvivere”. Incapace, nella sua paranoia, di comprendere che una guerra nucleare è impossibilità di sopravvivenza per il nemico, sì, ma anche per... l’amico.

L’aveva compreso bene Oppenheimer, il direttore del progetto Manhattan che nel 1945 ha portato alla prima bomba atomica. Di fronte alla devastazione vista a Hiroshima e Nagasaki, lotta con tutte le forze per giungere a un controllo internazionale sui materiali nucleari e per bloccare la costruzione della bomba all’idrogeno che sarebbe stata ancora più devastante. In lotta con se stesso, tra l’orgoglio e la soddisfazione dello scienziato che vede finalmente verificata la validità dei suoi studi e i valori etici di solidarietà umana e di pace tra i popoli, è a questa seconda voce che dà maggiore dignità, fino a giocarsi la sua reputazione quando si trova coinvolto, appena qualche anno dopo, nell’inchiesta che ne comprometterà l’immagine su dimensione mondiale. Ma noi sembriamo incapaci d’imparare dalla storia. Proprio questi giorni il Presidente ha richiamato il pericolo, se non fermiamo la guerra, di ricadere in un nuovo 1938-39, inizio della seconda guerra mondiale. E proprio oggi, mentre sto scrivendo, in Israele riesplode la parola guerra. In soli due giorni oltre mille morti. E sono più di cinquanta le guerre in corso in tutto il pianeta.

 

“Io sono la pace vantata dagli uomini e dagli dèi, genitrice, protettrice, conservatrice d’ogni cosa; nulla senza me fiorisce, nulla è sicuro. La guerra è un oceano in cui si uniscono i mali del mondo, fa imputridire ciò che fiorisce, rovina ogni cosa e annienta ogni fondamento”. Così la pace, cinque secoli fa.[1]

L’accademia svedese ha attribuito il Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, 51 anni, 13 arresti 5 condanne e 154 frustate da parte del regime iraniano dal 2012. Marito e figli son dovuti scappare all’estero, senza la possibilità di vedersi da undici anni. E ora davanti a sé ne ha 31 da passare in carcere. Da qualche giorno Armita Geravand, una sedicenne, anche lei iraniana, è in coma dopo essere stata picchiata dalla polizia morale perché non indossava il velo.

In lotta tra uomini. In lotta uomini contro le donne. Quasi che un gene, mors tua vita mea (io vivo se tu muori), sia parte del nostro DNA.

 

In uno dei miti più antichi della nostra tradizione è scritto: «Dio vide che la malvagità degli uomini sulla terra era grande e ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male. [...] Allora disse: “Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato [...] perché sono pentito di averlo fatto”».[2] E sulla terra arriva il mabùl, che noi traduciamo diluvio.

Non sarà certo un dio, oggi, a mandare il diluvio per cancellarci dalla faccia della terra. Lo stiamo facendo da soli. Due processi molto efficaci abbiamo già innescato: un investimento di energie senza limiti in armi sempre più distruttive; un’opera d’inquinamento che, rompendo gli equilibri del pianeta terra, lo costringerà a porci in condizioni non più vivibili per la nostra specie.

 

Dal diluvio del mito l’umanità è sopravvissuta con Noè, uomo di pace, e la sua famiglia. Come uscire dal diluvio reale che noi stessi abbiamo attivato? Ci riusciremo quanto più sapremo mettere in minoranza l’uomo-putin e dare respiro all’uomo-gandhi.

Senza dimenticare mai che Homo homini… homo, l’uomo per l’uomo è semplicemente uomo. Con la sua capacità di scegliere, con libertà, su quali strade camminare.

 

[1] Erasmo, Il lamento della pace, 1517

[2] Genesi 6,5-7

 

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