VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

12 giu 2022

Catturati dal conflitto: dove sta il nostro pensiero?

Tra Putin e Francesco

Quando la scienza vuol conoscere un oggetto, lo prende e lo isola dal contesto. Lo studia nei suoi particolari. Poi, una volta analizzato, lo guarda all’interno del sistema di cui è parte e ne osserva l’interazione con gli altri componenti. Così abbiamo fatto con SARS-CoV-2, il virus del Covid. L’abbiamo preso, isolato in laboratorio e studiato nelle sue proprietà. Poi l’abbiamo osservato nell’interazione con le nostre cellule e con i vari organi e apparati del nostro organismo.

Fatte le dovute differenze, seguiamo ora un procedimento analogo e osserviamo Putin e Francesco, provando ad esprimere, in estrema sintesi, il pensiero che ciascuno di loro ci propone.

Il pensiero di Putin? Io sono il più forte. Chi è più forte ha diritto di comandare su chi è più debole. Suo è il potere. E lo sarà sempre. Fin quando non incontrerà uno più forte di lui. Di fronte al disaccordo o al conflitto ha ragione chi ha più forza. Pensiero semplice. E chiaro.

Il pensiero di Francesco? Tutti, donne e uomini, bambini, giovani e vecchi apparteniamo allo stesso genere umano. Tutti fratelli. Con la stessa dignità e gli stessi diritti. Chi dispone di più forza (potere, ricchezza, conoscenza, tecnologia...) deve metterla a disposizione anche di chi è più debole. Perché tutti i beni e le ricchezze del pianeta appartengono all’umanità intera. Nel momento della difficoltà e del conflitto, la soluzione va ricercata nel dialogo e nel rispetto reciproco.

 

Ora togliamo la maiuscola e li prendiamo come modelli di pensiero: pensiero-putin e pensiero-francesco. Procedimento necessario se non vogliamo cadere in giudizi sulla persona. Operazione sempre ad alto rischio, sia perché ciò che possiamo osservare sono solo i comportamenti e le azioni che l’altro, chiunque altro, mette in atto, sia perché andremmo ad incastrarci in un giudizio che lascerebbe il tempo che trova.

Putin è una canaglia o un pazzo furioso; oppure Putin è un modello d’onestà e altruismo perché s’è visto costretto a invadere l’Ucraina e dichiarare una guerra all’Occidente che lo minaccia con la sua politica, economica e militare. Francesco è un uomo saggio; oppure quello che lui dice è molto bello, ma è fuori dal mondo e lo dice perché deve fare... il suo mestiere. Dove ci porterebbe tutto questo? A litigare tra noi buttandoci addosso, l’un l’altro, le ragioni di ciascuno.

 

La domanda con cui misurarci invece è: dove sono io, dove mi ritrovo? Nel pensiero-putin o nel pensiero-francesco?

 

Che il più forte abbia ragione sembra una legge di natura: l’animale più forte prevale sul più debole. La legge della foresta. O anche la nostra? Se un bambino racconta che un compagno gli ha dato una spinta o l’ha picchiato, non gli dice il babbo che deve farsi valere restituendogli le botte che ha ricevuto? Se una persona ci offende, non cerchiamo spesso di restituirgli l’offesa ricevuta, magari anche con un carico sopra?

Che il pensiero-francesco sia affascinante nessuno lo nega. Cosa c’è di più bello che sentirci tutti fratelli, appartenenti alla stessa famiglia umana. Poi, però, quando andiamo a praticarlo, scopriamo quanto sia difficile viverlo nella sua concretezza. Perfino in famiglia, tra fratelli di sangue litighiamo e coltiviamo conflitti e rancori. Nei miti abbiamo addirittura messo un omicidio, meglio, un fratricidio nella prima famiglia della storia: Caino uccide il fratello Abele. Arabi ed ebrei che nelle loro tradizioni si riconoscono entrambi figli di Abramo, si ritrovano imprigionati in una conflittualità così cronicizzata che sembra incapace d’imboccare una qualsiasi via d’uscita. Russi e ucraini, fratelli per cultura storia lingua tradizione, vittime di una guerra la cui fine appare sempre più lontana.

Il pensiero-putin non ci piace. Suona male. Ci fa apparire primitivi. Abitanti della jungla. Ma non è citando Francesco che ci collochiamo nel pensiero-francesco. Prima gli italiani, per esempio, è tutt’altra cosa da Fratelli tutti. È pura espressione del pensiero-putin: se noi stiamo meglio (siamo più forti), giusto è che questo privilegio ce lo teniamo, e gli altri, quelli che non hanno neppure da mangiare, non hanno nessun diritto di venire da noi. Se c’è guerra o siccità o carestia nei loro paesi, sono problemi loro. Che diritto hanno d’invadere il nostro?

 

Domande queste che, se le ascoltiamo con onestà, ci fanno vedere che la nostra mente in realtà è abitata da entrambi i pensieri. E di volta in volta, neppure sempre consapevoli, diamo voce all’uno o all’altro. Riconoscerlo ci farebbe essere meno tranchant nel giudicare. Ci aiuterebbe ad uscire da questo clima di conflittualità da cui ci lasciamo travolgere. Dove il confronto e lo scontro sulle idee trascende, e spesso diventa giudizio e aggressione verso la persona che le esprime.[1]

 

[1] V. Voce, 29 maggio