VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

23 ott 2022

Immersi nel rumore che invade le nostre giornate

Ritrovare il silenzio

Entri in un supermercato e senti musica di sottofondo. Entri in un bar e trovi la tv accesa, anche a volume sostenuto. Vai al ristorante, da una parte un po’ di musica e poco sopra, più in alto perché possa essere vista dai clienti, la tv. Silenziata perché colonna sonora è quella del cd. Ho chiesto al ristoratore perché la musica sempre accesa: perché così le persone possono parlare senza essere ascoltate dal tavolo vicino. Privacy l’ha chiamata. Perfino nell’ascensore: ci rimani un minuto, e una musichetta ti accompagna. Fai due passi, te l’ha detto anche il medico, e gli auricolari sono pronti. Perfino nei sentieri di campagna. Età diverse. Ma gli orecchi non sono liberi. Il suono della natura non li può raggiungere. Sono già occupati. E dire che è proprio di questa musica, fatta di silenzio e mormorio leggero, che la mente ha bisogno. Il canto delle cicale, il suono dei grilli, il vento che accarezza le foglie. Ne ha bisogno perfino il corpo, bombardato com’è dai rumori del quotidiano. Ma chi lo sente? Il muro degli auricolari è impenetrabile. Sembra un controsenso: la musica, dialogo tra suoni e silenzi, diventa invasione. Merce destinata all’abuso. Inquinamento musicale.

 

Il silenzio non ci appartiene. Sembra farci paura.

Entriamo in casa, per prima cosa accendiamo. Qualunque cosa, radio tv attrezzi vari, pur di non sentire il silenzio. E subito il rumore riempie il tempo. E lo spazio della mente.

Abbiamo iniziato la nostra esistenza immersi nell’armonia di suoni. Il battito del cuore della mamma, in concerto con il respiro e i borboglii del suo corpo. Ne eravamo cullati. Poi, appena usciti, voci grida schiamazzo hanno aggredito orecchi e cervello. Ci siam dovuti adattare: che potevamo fare? Ma il bisogno di ritrovare l’armonia del respiro, il suono della natura, che è suono della vita, non sa spegnersi. E il nostro corpo ce la mette tutta per dircelo: nervosismo, cattiva digestione, insonnia. E al posto di un po’ di silenzio arrivano gli ansiolitici.

Intolleranti al bambino che ci chiede di giocare con lui. Al punto che per non farci disturbare lo riempiamo di oggetti: anche questi suonano. Lui ci mette un po’ ad imparare la lezione: poi, però, apprende, e anche lui entra nel rumore che gli proponiamo. Il rumore dei tanti oggetti che riempiranno la sua cameretta, ma non possono colmare il vuoto di una presenza. Sì, ci siamo, ma non siamo con lui. Perché non siamo con noi stessi. Pieni di rumore, vuoti di pensiero e incapaci di relazione. «La nostra epoca rumorosa è senza silenzi, senza armonie. Povera di parole, ricca di voci. Mancano gli spazi di meditazione e di raccoglimento. Viviamo dispersi nella dispersione di mille cose inessenziali. Ci vince la stanchezza, alla fine di un giorno qualunque, non ci attrae il silenzio. Decine di appuntamenti al giorno, puntuali a tutti, siamo incapaci di un minuto di silenzioso raccoglimento e arriviamo sempre in ritardo all’appuntamento con noi stessi».[1]

 

Un nuovo turismo sembra affacciarsi oggigiorno. Alla ricerca di monasteri: per uscire dal frastuono e dalla velocità. Ben venga. Solo che... quanta fatica a riportarci a casa quel poco di silenzio che abbiamo potuto ascoltare! E lo lasciamo lì. Magari con un pensiero d’invidia per chi ha il privilegio di poterlo vivere: ma, a pensarci bene, non è invidia vera. Se lo fosse, ci proveremmo a portarne un briciolo a casa. Invece sono solo oggetti e qualche foto che riportiamo con noi.

Abbiamo rubato il silenzio perfino agli spazi di preghiera. Le liturgie domenicali l’hanno smarrito. Voci tonanti, suoni canti recitazioni. Mezzo minuto di silenzio dopo l’omelia. Poi di nuovo, subito, canti suoni recitazioni. Certo, è bello cantare insieme. Ma dove attingere a spazi di silenzio se neppure in quell’ora domenicale possiamo respirarne un po’? Ricordate Elia? Il grande profeta d’Israele, VI sec a.C. È in sfida con i sacerdoti di Baal. Ma questi non risponde alle loro suppliche. Allora li invita: “Gridate a gran voce, perché è un Dio. È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà”.[2] Ma in seguito Elia stesso apprenderà che il Signore si può incontrare soltanto nel sussurro di una brezza leggera.[3]

 

Io vorrei stare un mese in silenzio dopo sei mesi di bombardamenti, diceva un medico di Lyman, Ucraina. Non sappiamo noi cosa sia il rumore dei bombardamenti. È rumore di morte. Non ne abbiamo esperienza, e speriamo di non doverla incontrare. E se pure non è giusto usare la stessa parola, tuttavia l’invasione che al rumore permettiamo di attuare nelle nostre giornate diventa altrettanto pervasiva.

Ritrovare il silenzio è possibile. Regalarcene qualche minuto è un atto d’amore. Per noi stessi. E per chi vive con noi.

 

 

[1] M.F. Sciacca, Come si vince a Waterloo, 1957

[2] 1 Re 18,20-40

[3] 1 Re 19,12-13