VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

5 dic 2021

Di fronte al dolore e alla sofferenza che ti logorano

Mario, una sconfitta

Due anni fa la Corte costituzionale riconosce non punibile l’aiuto al suicidio in determinate circostanze. E risollecita il parlamento ad affrontare la problematica del fine-vita. L’aveva già fatto un anno prima. Ma niente. Il mondo della politica sordo. Indifferente. Incapace di cogliere le domande con cui la società odierna è chiamata a misurarsi.

E ora arriva Mario. Non lo conosco. Non conosco neppure il suo vero nome. So che vive vicino a noi, nelle Marche. E so che non regge più la sua vita. Piena di dolore e vuota di speranza. E oggi, a soli quarant’anni, sfinito tra tanta sofferenza, chiede di poter morire.

 

Più volte ci siamo confrontati con questa domanda.[1] E ogni volta abbiamo sentito quanto sia difficile ascoltarla. Perché ascoltare vita e morte che si parlano significa fare silenzio dentro di noi. E il silenzio non è cosa che si compra. Possiamo farcene dono se e quando ascoltiamo la nostra anima. Non facile, in conflitto come siamo tra il frastuono che accompagna la corsa agli acquisti che ci porta veloci verso le feste, e il raccoglimento che il tempo d’Avvento appena iniziato c’invita a ritrovare.

Di nascita parla il Natale che si avvicina. L’incontro con la morte ci propone questo giovane uomo. È tra la nascita e la morte che scorre il tempo della vita. E il prima? Il dopo? Non abbiamo riposte. Abbiamo pensieri. Domande. Pensieri che cercano di dare luce alla ricerca di senso che accompagna i nostri giorni. La religione, le religioni ci avvicinano a delle risposte. Non è facile coglierle. Più impegnativo ancora è farle nostre. Nel passato sembrava più facile aderirvi – almeno così oggi preferiamo pensare.

Oggi è la scienza, così evoluta rispetto anche solo a cent’anni fa, che ci offre le sue certezze. Accanto ai dubbi, attraverso i quali queste prendono forma. Assediati da Covid, è a lei che ci aggrappiamo nella speranza che non deluda. Che ci metta davanti strumenti che permettano di cavarcela. Ad essa ci rivolgiamo, pur consapevoli che non sa rispondere a tutti i bisogni e alle domande che la vita ci mette davanti. Mario ce lo ricorda. Con forza. Con la forza della sua richiesta. Il dolore, fisico e mentale, che ha invaso gli ultimi dieci anni della sua vita non trova una risposta in grado di scioglierlo. La scienza, medica e psicologica, non sa alleggerirgli il peso della sofferenza. Dargli sollievo. Aiutarlo a ritrovare la speranza.

 

Tanto rumore questi giorni. I giornali pieni di parole che accompagnano le sue parole. Una grande conquista; eutanasia legale; primo via libera al suicidio assistito; finalmente ora ci siamo arrivati... da una parte. Di fronte alla volontà di morire il credente resta sempre turbato dall’oggettivo contrasto tra quella volontà e la sacralità della vita, che per il credente ha caratteri di mistero e di dono, e non è mai disponibile; meglio le cure palliative che incoraggiare a togliersi la vita... dall’altra.

Nessuno, credo, può cantare vittoria quando una persona si toglie la vita. Un suicidio non è una grande conquista. È un grande dramma. Che parla solo di sofferenza infinita. Ed è una grande sconfitta. Sconfitta della scienza che non sa ancora trovare una risposta adeguata al dolore, fisico e mentale. Sconfitta dell’umano che non sa dare conforto e vicinanza a chi è nella disperazione.

 

L’istinto di sopravvivenza è iscritto in ogni forma di vita. Dalle più complesse alle più semplici, come il virus che ci sta assediando. Una persona che decide di chiudere con la vita ci dice che i suoi occhi non vedono la speranza.

Come dicevo, non conosco Mario, quindi non posso parlarne adeguatamente. Ma credo di poter dire una cosa: se anche lo conoscessi, se anche l’avessi frequentato in questi anni, so che non potrei mai cogliere l’intensità e la profondità del suo dolore. Non potrei mai sentire il peso di quel letto che ora è prigione. Né so, oggi, come potrei reagire io il giorno in cui la vita mi ci dovesse porre. Assediato dal dolore fisico che sfugge anche alle cure palliative più sofisticate. E dal dolore mentale che non trova conforto.

Tu credi che il Signore vuole che noi soffriamo oltre le nostre forze? mi chiede un’amica. No, le dico, non lo credo affatto. E quando sento certe solenni enunciazioni di principi-non-negoziabili, mi verrebbe da chiedere: sei sicuro che se fossi nelle condizioni di Mario, tu non potresti arrivare a voler chiudere la tua vita? Io non lo sono.

 

Fra tutte queste domande, un punto comunque dev’essere chiaro. La società civile deve darsi delle regole. Che sappiano rispondere anche ad una domanda così drammatica com’è la richiesta di chiudere con la vita. Mi auguro che la voce di Mario, dei Mario, arrivi a risvegliare i nostri politici, incapaci in tutto questo tempo di svolgere adeguatamente il loro compito.

 

 

[1] La mente e l’anima, vol. 6 pagg. 110-118, 131 / vol. 5 pagg. 43-48; Dat: pagg. 165, 177 / vol. 2 pagg. 258-266