VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

6 ott 2019

Di fronte alla sentenza della Corte Costituzionale sull’art. 580 c.p.

Il suicidio e la legge (2)

Il suicidio non è un diritto. Il suicidio è una tragedia. Per chi lo decide. E per tutte le persone che gli sono vicine. Ne parlammo anche qualche anno fa.[1] Ora la sentenza della Consulta ci rimette davanti a questo dramma. Al dramma delle persone che si trovano in una condizione di vita che non riescono più a sostenere. Per le quali vivere non significa più attraversare dolore e gioia, fatica e speranza, solitudine e compagnia. Per le quali la notte e il giorno non hanno più la capacità di alternarsi. E vivere è soltanto dolore, fatica, solitudine, disperazione. Buio totale. Assenza totale di speranza di cambiamento.

Mercoledì 25 settembre la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza in merito all’art. 580 del codice penale che pone sullo stesso piano l’aiuto e l’istigazione al suicidio: «Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni [...]». La Corte l’ha corretto dichiarando non punibile «Chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

 

Se rileggiamo con calma e attenzione questa sentenza, possiamo evidenziare due aspetti.

  1. a) Il primo passo della Consulta è differenziare l’aiuto al suicidio dall’istigazione ad esso. Cioè dalla spinta nei confronti di una persona a togliersi la vita. Non punibile è soltanto l’aiuto.
  2. b) L’aiuto diventa non punibile a determinate condizioni. Guardiamole.

- Chi decide di togliersi la vita dev’essere una persona affetta da una patologia irreversibile. Con una malattia che per la medicina di oggi non ha più alcuna prospettiva di remissione.

- La persona rimane in vita soltanto grazie a trattamenti di sostegno vitale: senza quelle macchine che ne assicurano alimentazione, idratazione o anche la stessa respirazione, non sarebbe in grado di vivere.

- Le sofferenze fisiche e psicologiche da cui è afflitta sono vissute dalla persona stessa come intollerabili. Il dolore, fisico e psicologico, che accompagna la malattia è diventato incontrollabile dalle cure che la medicina odierna è in grado di assicurare. Le stesse terapie palliative – quelle che hanno per scopo il controllo del dolore – non sono efficaci, e il dolore, fisico e psicologico, è così forte e continuo che la persona malata non è più in grado di reggerlo.

- Il malato dev’essere pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Deve disporre, cioè, della piena capacità e della totale consapevolezza per prendere le sue decisioni, compresa quella di voler morire.

- Una decisione così grave dev’essere maturata autonomamente e liberamente. Non può essere indotta in alcun modo, né diretto né indiretto, meno ancora in maniera subdola, da parte di chiunque altro. Parenti, amici, operatori sanitari, o altri.

 

È una sentenza giusta? Ne riparleremo. Di certo era una sentenza necessaria. Primo, perché la Corte doveva comunque dare una risposta ad un quesito di costituzionalità in merito all’art. 580 c.p. Anche perché le condizioni di vita in cui possiamo venirci a trovare, a seguito dei progressi delle scienze mediche, sono profondamente cambiate dal 1930 ad oggi. E richiedono una definizione adeguata, anche dal punto di vista legale, su quanto è lecito e quanto invece non è accettabile dalla società civile.

Poi perché ci siamo ritrovati ancora una volta di fronte all’inefficienza del Parlamento cui la Consulta aveva indicato la necessità di fare una legge che definisse termini e condizioni rispetto alla tematica del fine-vita. Ma nell’anno di tempo indicato (24 settembre 2018 - 24 settembre 2019) i nostri parlamentari si sono defilati. Ce la faranno ora? I primi indizi non fanno ben sperare. Dalle dichiarazioni tuonanti dell’ex ministro i-porti-sono-chiusi che, pur di raccattare voti, adesso va gridando “la vita è sacra!”. Ai giochini che Camera e Senato hanno già attivato rivendicando, ciascuno per sé, il diritto alla primogenitura di una possibile legge: stanno litigando su quale delle due camere ha il diritto ad avviarne l’iter necessario...

 

Un’ultima considerazione. Non mi piace il tono di certi interventi con cui le varie parti stanno impostando il dibattito. Più che di confronto e dialogo, suona tanto di scontro da crociata. Sia laica che cattolica. Parole come baratro, cultura di morte, suicidio di stato, finalmente liberi, ecc. gridate ai quattro venti... pensate davvero che sono un contributo alla costruzione di una legge che rispetti i valori delle diverse culture che compongono la società italiana contemporanea?

(2. continua)

[1] La mente e l’anima, vol. 2°, pag. 258, pag. 261, pag. 264