VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

8 set 2019

Vicende drammatiche ci hanno accompagnato quest’estate

Bambini, famiglie, servizi, tribunali

Ha 45 anni Beethoven quando gli muore il fratello Carl, che lascia la moglie e un bambino di 9 anni, Karl. Ludwig si attiva subito per averne l’affido, visto che la madre, a suo parere, era «donna corrotta, estremamente falsa, dedita in sommo grado all’ipocrisia». Ne ottiene la tutela, ma la convivenza tra zio e nipote non va. Tre anni dopo viene ripristinato l’affido alla mamma che però, quando Karl era ancora 14enne, le sarà tolto definitivamente. I rapporti con lo zio non migliorano. Al punto che a vent’anni il ragazzo tenta perfino il suicidio. Poi partirà militare e tornerà solo alla notizia della morte dello zio. Ma non riuscirà neppure ad arrivare in tempo per i funerali. Lo zio Ludwig gli lascia tutti i suoi beni. Che in verità non sono gran che, visto che nonostante il genio e la grandezza che tutti gli riconoscevano, la sua vita non è stata facile. Neanche dal punto di vista economico.

 

Una storia di duecento anni fa. Il problema della cura di un bambino o di un ragazzo ha sempre presentato elementi di complessità. Che, se non li teniamo presenti, ci portano ad affrontare la cosa come affronteremmo la cura di un terreno o di una qualsiasi eredità. Ed è questo che può avvenire nei Servizi e nei Tribunali quando si tratta della tutela dei minori. Le notizie su bambini allontanati dalle loro famiglie e affidati ad altri, famiglie o case-famiglia, che ci hanno accompagnato durante l’estate, sono tremende. Solo la magistratura potrà fare una valutazione corretta e approfondita. E prendere i necessari provvedimenti. A mio parere, però, questa vicenda, che dev’essere vista come una scheggia impazzita cui bisogna certamente porre rimedio, ci mette davanti tutta la gravità del problema. Che trascende questi singoli episodi. E che non possiamo permettere che si esaurisca in uscite, meschine e propagandistiche, che ci hanno imbandito certi uomini di governo.

 

Gli oltre trent’anni di attività nel settore mi fanno dire che è necessario guardare con molta attenzione all’interno di due organismi. I Servizi sociali e consultoriali da una parte, e le strutture della Giustizia dall’altra.

 

I servizi sociali e consultoriali presentano spesso carenza di personale e inadeguatezza nella preparazione degli specialisti.

Il personale è insufficiente come numero. È prassi assai frequente che in caso di pensionamento di un assistente sociale o di uno psicologo, questi non vengono rimpiazzati. I posti rimangono vuoti. Quando non addirittura trasformati nell’organigramma aziendale: il posto di un assistente sociale passa a un amministrativo, e la casella di uno psicologo si trasforma e ospiterà... un medico. Il livello retributivo rimane simile, il bilancio dell’azienda resta stabile. Ma le funzioni subiscono una grave metamorfosi. Il medico che subentra naturalmente si occuperà di tutt’altro. Così l’amministrativo rispetto a un assistente sociale.

Quanto dico non è fantapolitica: i nostri amministratori, comunali e regionali – anche nazionali, per la verità – non possono che confermarlo. Sono loro infatti gli autori di queste manovre.

 

Circa la preparazione degli specialisti – quando ci sono! – c’è da dire con altrettanta forza che le Università, da cui escono i laureati in Servizio Sociale e i laureati in Psicologia, solitamente non forniscono agli studenti le necessarie conoscenze in merito alla complessità delle relazioni familiari. Molto spesso insistono su aspetti tecnico amministrativi per il servizio sociale o su aspetti di psicologia individuale (bambini, adolescenti, adulti, anziani) nei corsi di psicologia, senza fornire strumenti adeguati per un’analisi, e il necessario intervento, nelle relazioni familiari e comunitarie.

 

La Giustizia. Anche qui accanto alla questione della necessità di una preparazione specifica, sia per i magistrati sia per gli avvocati sulla complessità delle relazioni familiari, dobbiamo ri-dirci che non c’è una struttura che si occupi di famiglia. Che si occupi specificamente ed esclusivamente di famiglia. C’è il Tribunale per i minorenni. C’è la Corte civile (il tribunale degli adulti). Non c’è un TRIBUNALE PER LA FAMIGLIA. Per cui spesso una famiglia, un genitore, un parente deve rincorrere un tribunale o l’altro, perdendosi nei labirinti dentro i quali sì e no gli avvocati e i magistrati riescono a non perdersi. Tempi lunghi? Certo. Ma anche tanta confusione. Un giudice deve occuparsi di tutto. Da liti di condominio o problemi di eredità, a separazioni, divorzi e affidamento dei figli... Il giudice deve sapere di tutto. Altrettanto un avvocato.

Sono anni che parliamo della necessità di istituire il Tribunale per la famiglia.[1] Sono anni che in Parlamento si gira intorno alla riforma della giustizia. Ma la famiglia chi la vede? Giusto durante le campagne elettorali. Lo so, il tema di una Giustizia per la famiglia... non fa crescere il PIL né abbassa lo spread. Sarà per questo?

 

[1] La mente e l’Anima, Vol. 4 pag. 179; Vol. 5 pag. 49pag. 82pag. 88