VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 mag 2017

Cyberbullismo: quando la tecnologia sfugge al nostro controllo

Homo faber

Mercoledì 17 maggio il Parlamento ha approvato la legge Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. Un problema serio. Ancora più serio per l’incapacità di molti ragazzi di essere consapevoli dei danni che questo procura. Alle vittime e ai cosiddetti bulli.

Sempre, nella storia della specie, l’homo faber ha cercato di costruire strumenti che potenziassero le sue capacità. Quelle di cui la natura, nel corso del processo evolutivo, lo veniva dotando. Dalla clava dei Flintstones all’invenzione della macchina, come aiuto nel lavoro e nella possibilità di muoversi da un posto all’altro. Ma da quella clava siamo passati anche alla spada e alla lancia, all’arco e le frecce. Alla polvere da sparo dei cinesi e alla dinamite di Nobel. Fino alla bomba nucleare. Invenzioni e scoperte che, potenziando le nostre capacità naturali, abbiamo usato a nostro vantaggio, per facilitarci nei nostri tanti progetti. Ma che siamo stati anche capaci di usare contro di noi, potenziando la nostra energia distruttiva.

La rivoluzione cibernetica nella quale siamo tuttora immersi, anch’essa ci aiuta nell’espletamento di tanti lavori. Ma rischiamo che anch’essa ci sfugga dalle mani. Il tema di oggi è un chiaro ed evidente segno di un uso distorto della tecnologia. Un uso che arreca solo danno nelle relazioni umane.

 

Già altre volte abbiamo parlato di bullismo[1] e di come questo sia un chiaro segno di disagio tra i nostri ragazzi. In chi lo subisce. Ma anche in chi lo mette in atto: e questo rischia di sfuggirci, confondendo noi spavalderia o prepotenza con la forza. Il bullo, ci dicevamo, è fondamentalmente un debole, un insicuro. Uno che ha un’immagine di sé molto bassa, un’autostima... sotto le scarpe. È una persona che non riuscendo a reggere il confronto con gli altri nel campo dell’efficienza e delle capacità, agisce deviando verso la prepotenza e la violenza. Come un uomo che non riuscendo a sostenere il proprio pensiero o punto di vista nel dialogo con la sua compagna, passa alla violenza fisica. Dai maltrattamenti fino, in casi estremi, all’omicidio.

 

Il bullo cibernetico è colui/colei che non si ferma all’uso della violenza, fisica o verbale, verso uno o più dei suoi compagni, ma si serve della tecnologia per raggiungere i suoi scopi. È uno che scappa perfino dal confronto diretto, vis-à-vis, con la sua vittima. Si nasconde dietro lo schermo di un computer o di uno smartphone. Se il bullo ‘normale’ non ha la forza di un confronto diretto sul piano dell’efficienza e delle capacità che il suo status gli chiede – studio, attività sportiva, relazioni con gli altri, ecc. – e mette in atto forme di aggressione nei confronti di chi sceglie come vittima, il bullo cibernetico esprime ancora maggior debolezza. Nascosto dietro l’anonimato, si mostra incapace perfino di metterci la faccia. Fino a compiere gesti che non avrebbe neanche il coraggio di fare in una dimensione di realtà. In un rapporto diretto con l’altro.

 

Un chiaro uso distorto della nuova tecnologia. Il suo potere di potenziare certe nostre capacità, qui viene sfruttato al più basso livello. Usato da una persona incapace perfino di rendersi conto dell’amplificazione che questa dà ai suoi comportamenti. E del danno che, di conseguenza, produce. Se un ragazzo o un bambino riceve uno schiaffo o un calcio o parole che l’offendono o lo umiliano, di certo ne soffre. Ma tutto questo rimane lì. Nel luogo in cui il bullo agisce contro di lui. Nel bullismo cibernetico l’offesa, la violenza ricevono un’amplificazione enorme. E la sofferenza di chi subisce viene anch’essa amplificata. L’offesa su Facebook fa il giro del mondo. E non è solo un modo di dire, purtroppo. È la verità. Sappiamo molto bene, infatti, come una parola, una foto, un video, qualunque cosa noi mettiamo in rete non si ferma più.

La nuova legge obbliga il gestore di un social a togliere entro 48 ore quanto è stato postato. Ma questo è appena un palliativo. Perché ciò che mettiamo in rete nella rete rimane. Sì, viene tolto da Facebook o da YouTube, ma quella foto, quel video può essere stato scaricato da dieci, mille o un milione di persone. A Jesi, a Roma, a New York o in Australia. E chi gli può impedire di girare ancora passando da me a un altro, e ad altri ancora?

 

Per questo è fondamentale operare in termini di prevenzione. Genitori e insegnanti in prima fila. I nostri ragazzi hanno bisogno di essere aiutati a cogliere la gravità di certi comportamenti, a costruire relazioni sane. E ad apprendere un uso sano e corretto delle potenzialità che la nuova tecnologia ci mette a disposizione.

 

[1] La mente e l'anima, Vol. 4, pag. 52, pag. 194