VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

19 apr 2015

Un bambino alla gogna di Facebook...

Lucio

Lucio ha dieci anni e frequenta la 5a elementare (il nome non è il suo, sua però è questa storia). Da un po’ di tempo qualunque cosa succeda nella sua classe, perfino nella sua scuola, il responsabile, anzi, il colpevole, è lui. Se un bambino fa cadere la penna di un compagno, è stato Lucio. Se, passando, gli capita di urtare qualcuno, “Maestra, Lucio mi ha dato una spinta!”, e lei: “Lucio, smettila, possibile che non puoi stare un minuto fermo?”. Urtare un compagno succede a tutti i bambini: sì, ma lui sicuramente l’ha fatto apposta! Se, entrando a scuola o uscendone, saluta la bidella (ancora la chiamano così) toccandola su un braccio, anche lei ormai dice che Lucio l’ha picchiata. Così, dalle otto del mattino alle quattro del pomeriggio. Compreso il pranzo, dal quale ora i genitori sono stati invitati a portarlo via: così all’una lo vanno a prendere e un’ora dopo lo devono riportare. Di corsa. Qualche giorno fa, all’uscita dalla scuola, una mamma lo assale, urlandogli, a dieci centimetri dalla faccia: “Se ti azzardi un’altra volta a toccare mia figlia ti ammazzo con queste mani!”. Era successo che Lucio le aveva buttato a terra un quaderno e questa bambina, ormai addestrata anche lei a riferire le malefatte del cattivo della classe, l’aveva detto subito alla mamma all’uscita da scuola.

 

Ma un criminale va punito. Che abbia trenta o quarant’anni o soltanto dieci che differenza fa? E quale migliore punizione possiamo escogitare noi adulti, presi come siamo dal compito di difendere i (nostri) bambini? Una volta il criminale era messo alla gogna. Esposto nella pubblica piazza, tutti dovevano vederlo e vedere che razza di persona fosse: gli mettevano pure un cartello con su scritti i suoi crimini. E oggi?

Oggi noi siamo civili, non incateniamo più una persona al giogo né la mandiamo in giro con cartelli appiccicati addosso. Civili magari sì, ma non molto originali. Succede così che gli altri genitori si attivano, a protezione dei loro figli, con due soluzioni (!?). Prima di tutto istruiscono bene i propri figli proibendo loro di giocare con Lucio, sia a scuola sia fuori. Poi, armati di tanta saggezza e di altrettanta attenzione verso i bambini, riempiono Facekook con insulti e parolacce contro Lucio e, naturalmente, contro la sua famiglia. La gogna di Facebook non si limita alla piazzetta del paese: essa è molto più potente, si espande per il mondo. Attenzione: non sono i bambini a farlo. Sono gli adulti: i genitori degli altri bambini.

 

Ora Lucio e la sua famiglia stanno lavorando. Anche gli insegnati. Perché questo bambino e i suoi compagni possano trovare un po’ di pace e vivere appieno i loro dieci anni. Ma c’è uno scoglio che sembra insormontabile: i genitori degli altri. Alla proposta di incontrarli per ragionare sulla situazione e costruire insieme un modo per aiutare tutti questi bambini, la Dirigente non ne vuole sapere perché la scuola non c’entra niente con Facebook, così sostiene, né Facebook c’entra con la scuola: e quello che avviene fuori dalla scuola non la riguarda.

 

Due riflessioni.

La prima sulla dirigenza nella scuola. È ormai acquisito che ai Dirigenti Scolastici sono assegnati compiti più amministrativi che educativi. Eppure la scuola, per definizione, è il luogo della formazione delle giovani generazioni. E non si capisce perché un bravo Dirigente debba essere capace più di far tornare i conti che di occuparsi di educazione e di formazione dei bambini e dei ragazzi che frequentano la sua scuola. Proprio come succede nella sanità, dove il Primario di un reparto deve far quadrare i conti, poi, soltanto poi, dovrebbe essere anche un bravo medico. Gli incentivi, infatti, sono dati rispetto ai conti appianati, non in riferimento alla competenza educativa (di un dirigente scolastico) o alla competenza professionale (di un operatore sanitario).

 

L’altra riflessione è con i genitori. Mi chiedo che esempio, quindi che educazione, stiano offrendo questi ai propri figli quando essi per primi insultano un bambino della stessa età del figlio e la sua famiglia, alimentandone l’isolamento e l’emarginazione. Cosa direbbero se gli altri lo facessero con il loro bambino? Cari genitori, i figli non sono una proprietà privata, come una macchina o un telefonino: quindi io mi guardo il mio e del tuo non voglio sapere niente.

 

I figli, tutti i figli, sono i figli della Vita!

Gesù di Nazareth diceva che chi è di scandalo ad un bambino (skàndalon in greco significa ostacolo, pietra d’inciampo) è meglio per lui che si leghi una macina da mulino al collo e si getti in fondo al mare (cfr. Matteo 18,6). Tanta è la cura e l’attenzione che i bambini meritano.

Ma i suoi occhi sapevano davvero guardare con gli occhi della Vita!