VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

25 ott 2015

Informarsi bene per non restare confusi

Teoria del gender?

Oggi riprendiamo il nostro viaggio per cercare di comprendere qualcosa di più quando parliamo, o sentiamo parlare, della cosiddetta teoria del gender. Avevamo iniziato con due articoli prima dell’estate. Ripartiamo, per conoscere. Poi, sulla base delle conoscenze, farci la nostra opinione. Ciò che vi dico rappresenta la sintesi tra la posizione prevalente del mondo scientifico e quanto mi hanno insegnato quarant’anni di studio e di clinica.

 

Ricordate la distinzione che facemmo tra sesso e genere? Ci dicevamo che con la parola sesso indichiamo la dimensione biologica dell’essere umano che nasce o maschio (XY) o femmina (XX), e con la parola genere facciamo riferimento alle modalità in cui, nella cultura di appartenenza, ciascuno vive e realizza il suo essere o maschio o femmina.

La tesi di fondo della cosiddetta teoria gender possiamo riassumerla in questo modo: il dato biologico – essere maschio (XY) o essere femmina (XX) – non è determinante per l’identità di genere di una persona. Ciascuno costruirebbe la propria identità (= io sono un uomo, io sono una donna) in base ad una sua libera scelta. In maniera completamente dissociata e indipendente dalla dimensione biologia.

 

Ho scritto ‘cosiddetta’ teoria gender, perché essa non ha fondamento scientifico. Trova invece la sua ragion d’essere come reazione estremizzante ed esasperata a posizioni che si presentavano – e in certi ambienti ancora si presentano – con caratteristiche e toni altrettanto estremizzanti. Di fronte alla negazione totale di riconoscimento di dignità e di diritti nei confronti di chi vive una situazione di diversità rispetto alla propria identità di genere, da parte di certa cultura laica o religiosa, dall’altra parte si risponde elevando la diversità stessa a norma. Arrivando perfino a negare ogni normalità.

È il solito problema che spesso, purtroppo, ha caratterizzato e caratterizza la storia umana: il problema degli opposti estremismi. Il solito o tutto o niente. Pensiero tipicamente infantile, ci dicevamo in altre circostanze. Ma pensiero molto frequente. Anche tra gli adulti.

 

L’operazione, scorretta, che viene fatta è quella di estendere a tutti una problematica che vivono, drammaticamente, alcune persone. Proviamo a spiegarci.

È un dato di realtà che ci sono alcuni che vivono un conflitto d’identità tra il sesso biologico che li definisce (maschio o femmina) e il genere cui sentono di appartenere e in cui si ritrovano e s’identificano. Una giovane donna, poco più che trentenne, mi disse all’inizio del nostro viaggio psicoterapeutico: “Io sono un uomo in un corpo di donna”. Questo era il suo problema. Questa la fonte della sua estrema sofferenza. Il suo sentimento e l’immagine che aveva di sé non le corrispondevano. Era come se il suo corpo e la sua anima parlassero due lingue. E l’uno e l’altra non riuscivano a trovare punti d’incontro per dialogare e per camminare insieme sulle strade della vita. Con una sofferenza indicibile.

 

Il mondo scientifico (medico e psicologico) si muove tra due definizioni rispetto a questa problematica: tra disturbo nell’identità di genere e disforia di genere. Non possiamo entrare qui nella sottigliezza delle differenze di definizione. Entrambe comunque intendono evidenziare che la persona non riesce a vivere in modo armonico la propria identità di uomo o di donna: anzi, vive in uno stato di dissociazione e di conflitto tra il suo corpo (sessualmente ben definito) e il suo io, la sua percezione di sé (che non corrisponde al suo corpo).

 

Un pensiero importante: non c’è scelta volontaria in queste situazioni. Né possiamo pensare che queste persone vivano un capriccio. O che basterebbe un atto di volontà (o di fede) per superare mali come questo.

La scienza non ne sa ancora spiegare l’origine. Né ha trovato a tutt’oggi cure univoche, efficaci e definitive. Esse si muovono, a fatica, tra psicoterapia, terapie ormonali e interventi chirurgici. Le statistiche più attendibili dicono che questa problematica, nelle sue diverse forme, si presenterebbe con la frequenza di una persona su 10-20mila.

(Attenzione: tutto questo non ha nulla a che vedere con il tema dell’omoaffettività/omosessualità, di cui abbiamo già parlato e su cui a breve ritorneremo).

 

Proviamo a chiudere oggi con una sintesi.

Non teoria del gender: è un falso ideologico. Ma attenzione e rispetto per chi vive una diversità tanto dolorosa. Non dimentichiamo: i mali dell’anima sono strazianti, e a volte inguaribili, come quelli del corpo; il fatto che siano invisibili agli altri non significa che siano meno gravi e meno dolorosi.

 

V. La mente e l'anima, Vol. 4, pag. 85 e pag. 88