VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 apr 2013

Guardare con vera attenzione i nostri bambini

Bambini... agitati? (2)

(2)

 

La settimana scorsa c’eravamo fermati ad osservare la pace e la serenità di un bambino piccolo che gioca. Lui non si annoia se gli lasciamo godere il mondo che costruisce. Castelli incantati, boschi colorati, amici fantastici e sorridenti con cui chiacchierare. Sereni e pieni di vita.

Com’è, allora, che tanti nostri bambini oggi sono così agitati?

Domanda: non sarà che c’entriamo proprio noi in questo processo di trasformazione?

Proviamo a guardarci un momento: ci accorgeremo quanto siamo diventati disattenti al suo mondo.

 

Cominciamo prestissimo a mettergli intorno aggeggi che fanno tutto loro: si muovono da soli, suonano, parlano, corrono. E il bambino? La sua fantasia, la sua mente così ricca e potente, capace di creare e ri-creare il mondo, che fine fanno? Pian piano devono arrendersi, cedere il passo agli aggeggi che gli mettiamo in mano. La sua mente, la sua capacità creativa, la sua fantasia… inutili. Tanto, a che servono? Siamo nell’era della tecnologia: fa tutto lei ormai. E allora arriva quel giochino che fischia e suona e si accende e si spegne e si rompe. Poi un altro aggeggino, poi un altro ancora. Tutto elettronico ormai. Tutto autonomo, tutto autosufficiente. E la sua cameretta si riempie, pian piano, di queste robe che non solo occupano tutto lo spazio – non sai più neanche dove camminare – ma suonano, parlano, urlano, chiamano, richiamano e non sono mai soddisfatti. Loro, gli aggeggi. Poi, lui non sa ancora leggere e scrivere, e già arriva la play-station, arriva lo smartphone, arriva il computer.

Ma il problema è che la loro invasione non si realizza soltanto nello spazio fisico di una cameretta. La vera invasione, molto più insidiosa, pericolosa ’sta volta, dannosa dovremmo dire, è quella che operano nello spazio mentale del bambino. Allora lo vediamo cambiare: prende una cosa, poi la lascia, poi ne prende un’altra, e lascia anche quella, poi un’altra e un’altra ancora. E le cose non bastano mai. Loro sono fatte così: ti promettono soddisfazione, piacere, felicità. Poi ti lasciano in mezzo a una strada.

 

Poi va a scuola. E gli insegnanti ci dicono che il nostro bambino non sta attento, non riesce a concentrarsi, a stare seduto, ad ascoltare la maestra, o un altro bambino che sta parlando. Agitazione psicomotoria dicono gli esperti. Allora l’insegnate, preoccupata, chiama i genitori – che quasi sempre è solo la mamma – e suggerisce di “farlo vedere” dallo specialista. Andiamo dallo psicologo e questi, dall’alto del suo sapere, emette la sentenza: il bambino è malato. E dà pure un bel nome alla sua malattia: ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder = Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività) – detto in inglese, sicuramente vale di più!

 

Poveretto!

Ora gli abbiamo fatto una diagnosi: una bella etichetta che non gli toglierà più nessuno. Magari troviamo anche chi gli darà un po’ di goccine o qualche pillolina che lo farà stare più tranquillo.

 

Deficit dell’attenzione. Ma se lo facciamo vivere in mezzo a milioni di stimoli, come fa il suo cervello a proteggersi da questo bombardamento e a scegliere, in mezzo a tutta questa confusione, qual è quello giusto, quello cui deve rispondere?

Non solo. Lui ormai ha imparato a vivere immerso tra tutti questi richiami che si assommano l’uno sull’altro e invadono la sua mente. Cosa può fare per scaricare tanta tensione? Come può il suo cervello ‘digerire’ tutto questo che gli mettiamo dentro? Ecco allora l’agitazione psicomotoria, o iperattività. Il muoversi continuamente, il non riuscire a stare seduto, il passare da una cosa a un’altra, diventano l’unica strada per scaricare tutta la tensione che il suo cervello – molto plastico, cioè molto recettivo – deve accumulare.

Se non attivasse tutto questo movimento, scoppierebbe. Come una molla che venisse caricata continuamente e nello stesso tempo compressa. Può solo rompersi. Ma siccome il cervello non vuole rompersi né scoppiare, allora trova una via di sfogo: dice al resto del corpo di muoversi, muoversi, muoversi… così la compressione di questa molla trova una via di fuga.

 

E noi gli diamo le goccine o la pillolina per bloccare questa via di fuga. Vi pare sano? Di certo avremo un bambino meno agitato. Ma avremo davvero un bambino sano?

 

Che fare allora?

Ecco. La soluzione è già nella domanda.

Rimandiamo indietro il nastro… e vediamo come abbiamo fatto a trasformare un bambino che sapeva giocare tranquillo, piacevolmente attento e concentrato su ciò che stava facendo, in un bambino che non sa più guardare una cosa alla volta, ascoltare chi gli sta vicino, sorridere e giocare.

Riflettevamo la settimana scorsa su quanto noi adulti abbiamo bisogno di ri-trovare il nostro respiro. È solo così che ritroveremo la capacità di rispettare il ritmo naturale dei nostri bambini. La loro capacità di… respirare.

 

1. Liberi di respirare

3. La regola delle tre R