VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

18 dic 2011

Femmine e maschi... incinti

Questi giorni la cronaca ci ha fatto incontrare la vicenda triste di una ragazzina di sedici anni che si vedeva costretta a fare i conti con una gravidanza non programmata. I giornali ci dicevano che i suoi genitori volevano costringerla ad abortire anche contro la sua volontà. Dopo qualche giorno, poi, ci informavano che la cosa era rientrata e che essi avrebbero rispettato le scelte della figlia.

Noi non possiamo conoscere come veramente stanno le cose, dal momento che, non potendo sentire direttamente le persone coinvolte (lei e i suoi genitori), ogni altra fonte d’informazione risulta inevitabilmente inquinata. Inquinata dai pensieri di chi ci racconta. Perché, se pure alla verità dei fatti possiamo arrivare ponendo la dovuta attenzione al susseguirsi degli avvenimenti, non potremmo mai raggiungere la verità dei sentimenti: quella verità che abita nel cuore di una persona che si trovi a vivere quella particolare situazione. E quest’attenzione dovremmo averla tanto più, quanto più la situazione stessa arriva pesante e coinvolgente.

 

Fatta questa precisazione che ci invita comunque alla prudenza, e a pensare bene prima di esprimere giudizi o valutazioni, lasciamo ora nella loro casa questa ragazzina e la sua famiglia rispettando con il nostro silenzio il peso e la complessità della situazione, e proviamo ad ampliare il nostro sguardo cercando di entrare in un’altra casa.

 

Non è infrequente che una donna, giovane e meno giovane, si trovi a dover fare i conti con una gravidanza non programmata. Né desiderata. E questo la pone di fronte ad una grossa domanda: se portare avanti questa maternità o se invece muoversi per interromperla. Io non sono una donna, ma le tante donne, di tutte le età, che mi hanno portato l’incontro con un aborto, mi hanno insegnato che questa esperienza lascia nel cuore di una donna un segno non più cancellabile. Un segno che troppo spesso riemerge e toglie la pace. Mi hanno insegnato che la sofferenza che il loro corpo ha dovuto affrontare, oltrepassa la dimensione fisica e attraversando membrane invisibili per la loro intimità, arriva all’anima. A quella dimensione umana che ci fa entrare in contatto con la vita e ce ne fa chiedere il significato. È uno stato d’animo, questo, che non necessariamente emerge da una visione religiosa della vita. Credente o non credente, la vita di una donna ne rimane segnata.

 

Ora è di questa dimensione che voglio parlare con voi. Ma voglio farlo invitandovi a spostarci dalla ‘casa’ della donna per entrare nella ‘casa’ dell’uomo. Casa fisica (nel senso del corpo), casa reale (nel senso di abitazione) e casa mentale (nel senso del luogo dei pensieri). So che non sarà facile, ma proviamoci.

Perché non è facile?

Perché quando ci troviamo di fronte a una gravidanza, desiderata o no, rischiamo di dimenticare una cosa ovvia: se una donna è incinta, in qualche parte del mondo (!) ci dev’essere un uomo che l’ha incontrata. Ovvio? Certo, ma molto spesso lo dimentichiamo. Dimentichiamo, cioè, che quella gravidanza ‘appartiene’ a due persone: a lei e a lui. È il risultato di qualcosa che hanno fatto in due.

 

Lo so, pensate che sto dicendo delle ovvietà. Bene. Teniamoci per ora queste ovvietà e facciamo insieme quel passaggio che vi dicevo. Entriamo nella ‘casa’ di lui. Limitandoci, per oggi, a visitare la casa di un lui giovane, non sposato né fidanzato. Un lui qualsiasi, un ragazzo come uno di quei milioni di ragazzi adolescenti o giovani uomini, maschi, che abitano le nostre case.

Avete mai pensato a come stiamo educando questi figli rispetto a come essi possono vivere la propria sessualità? Per coglierlo facciamo un confronto con l’atteggiamento che abbiamo con le nostre figlie. Voi pensate che ci sia una casa in cui per lei e per lui valgono le stesse regole di comportamento? Credo proprio di no! I maschi godono di tanta maggiore ‘libertà’ rispetto, per esempio, agli orari di ritorno a casa dalle uscite del dopo cena. Facciamo con loro meno controlli circa le amicizie e le frequentazioni. Dove vanno, glielo chiediamo sì, ma non ce ne preoccupiamo poi più di tanto. Di certo non ce ne preoccupiamo come facciamo con le femmine.

Perché tutto questo? Se proprio vogliamo dircela fino in fondo, credo che dobbiamo dire: perché una femmina può restare incinta, un maschio no.

È brutale questo pensiero? Certo, potremmo dircelo in un altro modo, magari più gentile o con qualche giro di parole, ma credo che nessuno di voi, genitori che state leggendo, può dire che non è così.

 

Due settimane fa abbiamo riflettuto insieme sulla violenza contro le donne. Non è anche questa, pensiamoci bene, una forma di violenza? Una grande violenza. Non perché diamo loro meno ‘libertà d’uscita’. Non è questo il punto. La violenza è nel fatto che non insegniamo ai nostri figli maschi il senso di responsabilità che devono avere verso le loro amiche e compagne.

Cari genitori, se a restare incinti fossero i maschi, non sarebbe diversa l’attenzione nei loro confronti? È qui che dimentichiamo quella cosa ovvia che dicevamo prima: se una ragazza rimane incinta, c’è un ragazzo che ne è altrettanto responsabile. Questo ragazzo potrebbe essere proprio nostro figlio. Aiutiamolo a crescere nella consapevolezza che essere un uomo non significa affatto essere ‘un cacciatore’ – come dicevano i nostri vecchi. Significa invece avere verso la donna la medesima responsabilità e lo stesso rispetto che uno vorrebbe trovare per se stesso.

 

 

* V'invitiamo a leggere anche Tra diritti e diritti, 2022