VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

28 mag 2023

Anno nero per la pena di morte il 2022

883

È il numero delle condanne a morte eseguite lo scorso anno ci dice Amnesty. 883 sono quelle che conosciamo, in venti Stati nel mondo. A queste, infatti, vanno aggiunte quelle della Cina, dove ogni anno avvengono migliaia di esecuzioni e condanne a morte, della Corea del Nord e del Vietnam, i cui governi non comunicano i propri dati. Nel 2022 c’è stato un aumento di oltre il 50% rispetto all’anno precedente.

È difficile parlarne, lo so, presi come siamo dalla guerra che ogni giorno ci parla di morti, e dall’emergenza maltempo che proprio questi giorni è arrivata, anch’essa, con la morte a fianco. So di chiedervi uno sforzo, oggi. L’intensità del nostro coinvolgimento emozionale di fronte a un fatto è strettamente connessa con la prossimità geografica. È un nostro limite. La guerra in Ucraina ci coinvolge molto più della situazione in Siria o in Sudan, e gli allagamenti in Romagna o nelle Marche ci catturano assai più rispetto alla devastazione che provocano le inondazioni nel Bangladesh in India o in Nepal. Così rischiamo di non cogliere l’allarme che Amnesty ci porta di fronte ai tanti Stati che ancora, con la pena di morte, si ritengono proprietari della vita dei loro cittadini.

A dicembre scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato l’ennesima moratoria sulla pena di morte nel mondo. Interessanti i dati della votazione: su 193 Stati che formano l’ONU, 125 hanno votato a favore di una sospensione delle esecuzioni capitali, con l’obiettivo di giungere a eliminare la pena di morte dalle legislazioni nazionali; 37 si sono dichiarati contrari; 22 astenuti; 9 erano assenti. Qualche sorpresa: tra i favorevoli alla moratoria troviamo la Russia; tra i contrari oltre a Cina Corea del Nord e Egitto, il civile Giappone la spirituale India e la nazione che vuole diffondere civiltà e democrazia nel mondo, gli Stati Uniti d’America: nel 2022 hanno eseguito ben 18 condanne, nell’anno precedente 11. L’Arabia Saudita, paese in cui un nostro ex presidente del consiglio vedeva sorgere un nuovo rinascimento, in un solo giorno ha eseguito 81 condanne a morte; 196 in tutto l’anno. Il 40% delle esecuzioni nel mondo non sono neppure motivate da fatti gravi come omicidi o stragi, ma da semplici reati di droga.

Un paese che si ritiene padrone della vita di un suo cittadino non è un paese civile.

 

In una pagina della Bibbia, VIII secolo a. C., troviamo scritto Non ucciderai.[1] Non motivazioni, né spiegazioni accompagnano queste parole. E neppure eccezioni. Anzi, è al futuro. A memoria perenne. Come a dire: ricorda, homo sapiens, vale oggi e vale per sempre. Sono parole che gli uomini di allora ascoltano dal loro Dio, origine e sorgente della Vita. E le ritroveremo, confermate, senza variazioni, in un’altra pagina, tre secoli dopo.[2] Sono parole che fondano una civiltà.

Nel mito delle origini il primo omicidio è un fratricidio. Come a ricordarci che ogni omicidio è un fratricidio. Così grave e pesante il gesto che perfino la terra si ribella. Ora ti maledice quella terra che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello: quando lavorerai il campo, esso non ti consegnerà più la sua fertilità dice il Creatore a Caino. Ma subito dopo, di fronte al panico di Caino per il timore di venir ucciso a sua volta per il gesto compiuto, chiarisce che non è l’uomo che può vendicare l’uomo: chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte.[3] Saggezza dell’umanità. Come ogni mito. Poi però ci siamo allontanati da tanta saggezza. E pian piano ci siamo arrogati il titolo di padroni della vita. Non solo della nostra. Padroni della vita dell’altro. E giù a creare giustificazioni.

 

Pur eredi di tanta saggezza, ampliata e perfezionata dal Vangelo, anche noi cristiani l’abbiamo messa da parte. E il non ucciderai è passato in second’ordine di fronte alle esigenze della politica, del potere, dell’istituzione, della ragion di stato. In nome di Dio mandava a morte l’Inquisizione. In difesa della Chiesa eseguiva pene capitali lo Stato Pontificio. Fino a poco fa il Catechismo della Chiesa Cattolica sosteneva ancora che «l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude [...] il ricorso alla pena di morte [...]». Dobbiamo arrivare al 2018, grazie a Francesco, perché questa posizione venga, finalmente, superata. Il nuovo testo dice: «La Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».[4]

È a questo che ci richiama oggi Amnesty, l’organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani nel mondo, come sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.[5]

 

 

[1] Deuteronomio 5,17

[2] Esodo 20,12

[3] Genesi 4,3-16

[4] Catechismo, 2267

[5] ONU, 1948

 

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V'invitiamo a leggere anche Il Vangelo e la naftalina 2018,  Non ucciderai 2012