VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

30 set 2012

Non ucciderai

Così è scritto nelle dieci parole. È la quinta. Ed è così, secca e asciutta. Con un verbo al futuro, cioè per sempre: NON UCCIDERAI. È nel libro dell’Esodo (20,13), il libro che ci racconta la liberazione dalla schiavitù in Egitto e la vita degli ebrei nei quarant’anni di peregrinazione nel deserto del Sinai. Quarant’anni di fedeltà e di infedeltà al patto che essi avevano sottoscritto con il Signore Dio. Proprio questi giorni gli ebrei celebrano due grandi feste del loro calendario. Il Capodanno (Rosh Hashanàh – siamo nell’anno 5773) lunedì 17, e il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippùr) mercoledì 26: il giorno più ‘santo’ dell’anno, il giorno del rinnovamento spirituale.

 

Non ucciderai. Il Signore della vita dice alle sue creature che esse non possono disporre della vita altrui. È chiaro. Noi, però, vi abbiamo aggiunto parole di mediazione. Abbiamo fatto distinzioni e sottodistinzioni.

Un giorno arrivano davanti a Gesù con una donna che secondo la loro legge doveva essere uccisa perché aveva tradito suo marito. Lui si ferma a scrivere in terra. Che cosa avrà scritto? Nessuno ce lo dice. Forse proprio non ucciderai? Ma quelli continuano nel loro giudizio e nel loro desiderio di morte. Così, nel silenzio e di fronte alla loro insistenza per avere una risposta, Lui li mette davanti ad una domanda. Che li ammutolisce. «“Chi tra voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra». Quegli uomini, pronti ad uccidere, si rendono conto di essere in grado di rispondere perfettamente. Infatti «quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi» (Giovanni 8,7-9).

Nel Corano è scritto «La sua anima lo incoraggiò a uccidere il fratello. Lo uccise, e fu nel novero dei perdenti» (5, 30). Chi uccide è nel novero dei perdenti. Perché ogni vita stroncata è una vita rubata. Perché sottratta al Signore della Vita.

 

Questi giorni sono pieni di vite rubate in nome di un’offesa fatta ad una religione. È triste costatare che la storia delle religioni è piena di vite rubate nel nome di Dio. La nostra storia ci ricorda periodi bui, dove roghi, crociate, guerre di religione oscuravano la vita dei credenti. Per tutelare ‘verità’ che erano dottrine di uomini, degli esseri umani si sentivano autorizzati ad uccidere altri esseri umani, coprendosi con parole che parlavano di ‘offese fatte a Dio’. Come se il Buon Dio ragionasse con la ristrettezza e la povertà delle nostre menti.

Nonostante i tanti errori del passato, l’umanità si ritrova ancora prigioniera di un pensiero povero, questo sì offensivo nei confronti di Dio. Con qualunque nome Lo vogliamo chiamare. Non è un nome che ne definisce la natura o i pensieri. Il Signore dell’universo, Padre-e-Madre di tutti i viventi, come può gioire e rallegrarsi se una parte dei suoi figli uccide l’altra parte? Come può benedire il fratello che uccide il fratello?

Gandhi diceva che poteva trovare mille ragioni per morire, ma non ce n’era nessuna per uccidere.

 

Lo so che molti oggi, guardando a quanto sta succedendo in certe parti del mondo, parlano di terrorismo e lo definiscono con un nome che è nome di religione. Islam significa unione, sottomissione (a Dio). Non significa terrorismo. Certo, i primi a favorire tanta confusione sono proprio coloro che si nascondono dietro questo nome per uccidere altri esseri umani. Ma non c’entra la religione. Meno ancora c’entrano il desiderio o la volontà di Dio. Allo stesso modo in cui non c’entrava nessuna volontà di Dio, secoli fa, nonostante ci fosse chi sosteneva “Dio lo vuole”. Forse che Dio voleva che una parte dei suoi figli andasse ad uccidere altri suoi figli perché Lo chiamavano con un nome diverso? Erano altri tempi, certo. Ma quando sarà l’ora in cui impariamo seriamente dagli errori del passato…

 

Non cadiamo anche noi, che pure ci riteniamo civili, che vediamo la nostra cultura come la culla della democrazia, nel giudizio sommario e nell’intolleranza. Non è segno di civiltà né di democrazia, meno ancora segno di rispetto dell’altro o coerenza di credenti, giocare con le provocazioni e sostenere giudizi di superiorità e inferiorità.

Se è vero che «Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (Atti 10,35), perché noi facciamo distinzioni e ci arroghiamo a giudici di civiltà?