VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

8 ott 2023

Ascoltare lo sguardo dei figli. Anche nelle separazioni

La pèsca o la bambina?

“Questa te la manda la mamma!” dice Emma al suo babbo, porgendogli la pesca che aveva preso, quasi di soppiatto, mentre la mattina faceva spesa con la mamma. “La mamma? Mi piacciono le pesche. Allora dopo chiamo la mamma per ringraziarla. Ok?” e le sorride. Poi guarda, intristito, verso le finestre di quella casa che era stata anche la sua. Oggi sono separati. E non sembra che la relazione goda di sufficiente serenità. Neppure si salutano. Quando lui suona il campanello lei fa scendere la bambina. Senza accompagnarla.

Così, in meno di due minuti, inizia e finisce una storia che nasce solo come pubblicità per una catena di supermercati.

(Lascio volutamente fuori i tanti politici, di qua e di là, che si sono precipitati su questo spot. Le loro parole si commentano da sole. Tale il livello che evidenziano: in campagna elettorale permanente, perfino il dolore di una bambina con i genitori separati per loro fa audience...).

 

Due bugie s’incontrano in questo breve dialogo. Emma sa che non è la mamma che le ha dato quella pesca per il babbo. Anche lui lo sa. E sa pure che non chiamerà la mamma per ringraziarla: ringraziarla di che? Neppure più tardi. Forse fra qualche tempo. Ce lo auguriamo. Il giorno in cui lui e lei riusciranno a sciogliere, almeno in parte, le tensioni che li imprigionano. E dentro le quali tengono anche la loro bambina. Quella pesca è il desiderio di Emma. Un frutto che unisca i suoi genitori. I cui frutti coltivati nel tempo, invece, li hanno portati a separarsi. Frutti che una bambina non può conoscere. Meno ancora condividere.

Ma c’è un’altra cosa che lei non sa. Ed è ancora più importante. Il regalo che la mamma fa al babbo non è una pesca comprata al supermercato. Il regalo è lei. Emma. È lei, una bambina venuta al mondo perché chiamata da loro. Arrivata per rispondere al loro desiderio. È lei regalo della mamma per il babbo. E del babbo per la mamma. Ma loro l’hanno dimenticato. Perché a un certo punto si son lasciati distrarre da altro, vicende pensieri interessi, che li ha portati fuori da quel progetto di vita che, qualche tempo prima, s’erano detti di voler condividere. Tra loro. E con una figlia.

 

Proviamo a chiederci cos’è che porta, oggi, tanto facilmente a distrarsi dal progetto iniziale. Quali dinamiche catturano l’attenzione e le energie di una coppia al punto da portarla a ritrovarsi semplici coinquilini che, al momento in cui provano a guardarsi, non sanno più riconoscersi. E lo spazio, che prima li univa, diventa lontananza. Fino a tradursi in separazione. Non è questione semplice, la complessità delle relazioni umane è tale che numerosi fattori entrano in campo. Due aspetti, però, penso che possiamo cogliere di fronte alla frequenza, che sembra parlare di facilità, con cui tante coppie oggi si separano: debole senso di responsabilità e, accanto, scarsa resistenza alla frustrazione.

 

Senso di responsabilità. Nei confronti dell’altro: il partner in una coppia, il figlio come genitore. Nel momento in cui propongo all’altro un progetto di vita, la mia proposta parla di responsabilità. Più ancora di quella che mi richiede una società in affari. Perché un’azienda possa vivere è necessario che i soci la sentano propria, parte di loro stessi. E qui si tratta di economia. Di lavoro. Una società di affetti, tale credo possiamo chiamare una famiglia, è ancora più coinvolgente: non si tratta di semplice attività lavorativa. Qui si tratta di mettere in gioco la vita. Che è qualcosa di più che un lavoro. Molto di più. Quando poi in questa società di affetti decidiamo di chiamare anche un figlio, gli diciamo che per lui noi ci saremo sempre. Che la nostra casa è la sua. E il compito che ci assumiamo è prendercene cura per tutto il tempo in cui ne avrà bisogno. E prenderci cura di lui significa prenderci cura anche della nostra casa. Questo significa responsabilità.

L’altra componente che oggi si evidenzia nel fenomeno delle separazioni facili, una debole capacità di resistenza alla frustrazione. Se non alla prima, è alla seconda o alla terza difficoltà che alzano il carretto e se ne vanno. Chi di noi non s’è mai sentito dire da uno dei genitori, in un momento di difficoltà, se non era per te, è da allora che mi ero separata/separato! Ma non si separavano. E non perché fossero masochisti. O eroi. Non si separavano perché loro sapevano rimboccarsi le maniche. E ripartire. I venti trenta quarantenni di oggi li abbiamo cresciuti troppo protetti. E oggi si ritrovano poco allenati di fronte alla fatica e alle difficoltà che una vita di relazione comporta. Al punto che non riescono neppure ad ascoltare le parole che un figlio, semplicemente perché c’è, dice al suo babbo io sono il regalo che ti fa la mamma, e a lei io sono il regalo che ti fa il babbo: abbiatene cura!

 

Aver cura di un figlio e aver cura della relazione di coppia sono dimensioni che si alimentano, o non si alimentano, a vicenda.