VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

10 lug 2022

Condivisione e solidarietà io coltivo, non disimpegno

La seconda linea

Tutti diremmo che quando di fronte a un problema siamo in prima linea, questa è una posizione davvero scomoda. E non v’è dubbio. Pensate alla guerra che il bullo di Mosca ci ha regalato: vorrebbe qualcuno essere al posto degli ucraini? Pensiamo al letto che ha tenuto inchiodato a sé Federico, il 44enne di Senigallia che ha deciso di morire il mese scorso. Agli oppositori dei vari dittatori di turno, Putin Xi Erdogan, costretti in prigione e privati d’ogni diritto umano. All’Afghanistan, donne prigioniere in casa o dentro il burqa, ragazze che devono andare a scuola di nascosto, con il rischio sempre presente d’essere scoperte e messe in carcere, visto che le donne non hanno diritto all’istruzione dal momento che solo agli uomini Allah avrebbe dato il compito di governare il mondo. Sia esso una nazione o una casa. Sì, la prima linea è davvero dura. E anche quando le forze vengono meno, devi resistere.

 

Ma oggi vorrei far un giro sulla seconda linea. Quella che vede noi europei di fronte alla guerra di Putin. O i familiari d’una persona malata da tanto tempo, o anziana o non autosufficiente. O quella dalla quale noi, che già fatichiamo a custodire democrazia e diritti civili, guardiamo le donne afghane o i sudditi dei vari regimi totalitari. La seconda linea a prima vista sembrerebbe chiedere meno energie per essere tenuta. E non c’è dubbio. Ma un virus la minaccia. Subdolo e onnipresente, al nostro orecchio sussurra pensieri di fuga: dal più immediato non è un problema tuo, al più sottile non puoi rovinare la tua vita per star dietro a chi ha avuto la disgrazia di star male, o all’altro, altrettanto semplice non puoi tu risolvere tutti i problemi del mondo. È il virus del disimpegno. Del prima io, poi tutti gli altri.

 

La guerra. Non possono gli ucraini dire non mi riguarda. Loro sono in prima linea: o combattono o sono finiti. Noi no. Non abbiamo i carrarmati di Putin in casa noi. Né i suoi missili ci fanno saltare dal letto, ammesso che ci lascino vivi. Le nostre donne e i nostri bambini non sono ammazzati o stuprati dai soldati nemici. Così di fronte a qualche sacrificio che la solidarietà agli ucraini comporta, cominciamo a stancarci. Chi me lo fa fare? ronza all’orecchio. E pieni di giustificazioni, sostenute anche da pacifismi di comodo o analisi socio-psico-geo-politiche dell’esperto di turno, oltre che da politici pronti a imbracciare qualsiasi bandiera pur di raccattare qualche voto in più, iniziamo a defilarci. Basta con la guerra, gridiamo. Sì certo, ma cosa facciamo per farla fermare? Ci stiamo ad affrontare quei sacrifici che la solidarietà con il popolo ucraino ci richiede? Non ho sentito nessuno dei nostri governanti, Italia Francia Germania per esempio, dire ai propri cittadini che dovranno restringere su certe comodità cui s’erano abituati. Accetteremmo di limitare la velocità sulle strade per consumare meno carburante? O di ridurre di uno o due gradi i condizionatori adesso e il riscaldamento nel prossimo inverno, in casa nell’ufficio nel supermercato, per risparmiare un po’ di gas? I capi di governo non ce lo dicono perché hanno paura di perdere consenso, sapendo bene che in seconda linea il non è un problema nostro diventa un mantra dalla voce ossessiva.

 

E le donne afghane? Ma adesso c’è la guerra, di corsa ci diciamo. In prima linea ci stanno loro. Le nostre ragazze non si rendono neppure conto di quale fortuna godono e di quale privilegio nel dover andare a scuola e studiare. Ma forse neppure noi adulti, donne e uomini, riusciamo a dircelo. E l’Afghanistan? Non possiamo prenderci tutti i problemi del mondo... Intanto però loro dalla prima linea non possono scappare. Noi sì. E lo facciamo.

 

Entriamo ora nel piccolo. In casa. Il fratello invalido o la moglie non autosufficiente non possono far niente per uscire dal loro limite. Il padre vecchio, poco lucido, incapace di ricordare una cosa che gli hai detto tre minuti prima e devi ripetergliela. Una moglie che ha sempre tenuto le redini della casa con te e con i figli, pure con i tuoi quando, ormai bisognosi di cure t’eri visto costretto a portarli a casa vostra, e ora accusa segni di stanchezza, fisica e mentale, non può uscire da questo limite. Lei è in prima linea. Come il fratello invalido o il padre vecchio. Loro non possono scappare. E tu, noi, in seconda linea? Quante volte ci lasciamo sopraffare da stanchezza, nervosismo. Comprensibili, certo. Ma quando le nostre parole diventano rabbiose, aggressive, incapaci di trasmettere vicinanza, quella vicinanza di cui ora c’è bisogno ancora più di prima, non stiamo scappando?

Di una seconda linea forte ha bisogno chi combatte davanti. Chi la guerra, o la prevaricazione di un regime o la malattia o l’invalidità non se le può scrollare di dosso.

 

A noi che ancora stiamo bene, e finché stiamo bene, la vita consegna un mantra: solidarietà e condivisione io coltivo, non disimpegno.