VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

13 mar 2022

Intorno alla guerra di Putin contro il popolo ucraino

Give peace a chance

In 150 radio europee, alle 8:45 di venerdì scorso, è risuonato All we are saying is give peace a chance, il celebre pezzo che John Lennon scrisse nel ’69 insieme a Joko Ono: Tutto ciò che diciamo è date una chance alla pace. Chance è possibilità, è occasione, è opportunità. Di fronte alla demenza della guerra abbiamo bisogno di ritrovare parole di saggezza. Parole di vita. Un’amica mi ha scritto ricordando la Lettera ai romani, una delle più conosciute e rilevanti tra le lettere che Paolo di Tarso ha scritto ai cristiani delle prime comunità: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera».[1] Senza dubbio lo diceva anche a se stesso. Una decina d’anni dopo infatti anche lui, sotto Nerone, sarà tra le tante vittime della persecuzione. Come sempre, anche allora per chi non si sottometteva alle decisioni dell’uomo di potere era assai facile diventarne vittima.

 

Il narcisismo (io sono l’unico e il migliore) e la paranoia (tutti tramano contro di me) sono terreno fertile perché spunti e cresca l’uomo dai pieni poteri. Imperatore allora. Dittatore oggi, chiamato con lo pseudonimo di presidente. Cina, Corea del Nord, Turchia, Egitto e, tanto per stare al dramma di questi giorni, Russia sono paesi che ne danno ampia mostra.

E in una relazione perversa, passivi esecutori lo attorniano. Io eseguivo gli ordini era il mantra dei gerarchi, degli ufficiali e dei militari nazisti. Li abbiamo sentiti a Norimberga. Ci è stato ossessivamente ricordato da Eichmann nel processo in Israele cinquant’anni fa. È la banalità del male dirà Hannah Arendt.

 

E la storia si ripete. Oggi ci chiediamo con quale coscienza e con quale consapevolezza gli uomini dell’esercito russo riescono ad eseguire l’ordine di portare la morte ad una popolazione che parla la loro stessa lingua e con loro condivide gran parte della sua storia. È vero, agli ultimi della catena gerarchica, così appare sempre più evidente, è stato detto che vanno a salvare i cittadini ucraini da una banda di drogati e di nazisti che sono al governo. Così come ai bambini delle scuole viene raccontato che i russi sono in Ucraina per redimere un popolo che, lasciatosi fuorviare da cattive compagnie (europei e americani), stava facendo del male a tutti i vecchi amici (i russi): come un bambino che picchia i compagni di scuola. La Russia non è in guerra, ma in missione di salvezza. война (voyna) guerra è parola proibita perfino nella conversazione quotidiana. Oltre che, naturalmente, nei mezzi d’informazione.

 

Come dare una chance alla pace in questo contesto?

Due strade, credo, sono da percorrere.

 

La prima. Non limitarci a dichiarazioni di principio. Dietrich Bonhoeffer, pastore e grande teologo della chiesa protestante, impiccato nel campo di Flossenbürg nel ’45 per aver partecipato alla congiura contro Hitler, insegna che è necessario passare dall’etica dei princìpi all’etica della responsabilità. «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante» risponde a un compagno di prigionia che gli chiedeva come potesse un pastore partecipare ad una congiura. E Gandhi: «Sebbene la violenza non sia mai lecita, quando essa viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi, essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione».[2] Questo un po’ lo stiamo facendo con le sanzioni economiche contro Putin e il suo governo. Nella speranza che qualcuno salti sul conducente e l’afferri al suo volante perché non ne metta sotto ancora altri.

 

 

La seconda strada, per certi aspetti ancora più difficile, ci chiede di coltivare pensieri di pace. Pensieri in sintonia con la lunghezza d’onda della Vita. Perché possano diffondersi in un mondo in cui non mancano pensieri e progetti di morte. Pace è non-violenza. Che per essere coltivata, come scrive Paolo, ha bisogno della speranza che ci faccia vedere anche la luce. Della costanza nella fatica e nel dramma. Della perseveranza nella preghiera – che, per chi questa parola non sa trovarla, possiamo tradurre in pensieri di bontà e fratellanza. Senza cedere a pulsioni di odio.

«Una pace futura – scrive Hetty Hillesum, morta a 29 anni nel ’43 ad Aushwitz – potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso. Se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo».[3]

 

All we are saying is give peace a chance. Tutto ciò che diciamo è date una chance alla pace.

 

 

[1] Romani 12,12

[2] Harijan, 1946

[3] Lettere