VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

17 lug 2022

Di fronte al surriscaldamento terrestre ci mancava solo la guerra

Attila tra noi

Che la crisi climatica sia la madre di tutte le crisi nessuno, donna o uomo non solo di scienza ma anche soltanto di buon senso, lo mette più in discussione. Del resto, anche solo a voler restare in casa nostra, la Marmolada e il Po insieme ai loro fratelli, un tempo ghiacciai e fiumi, fanno del loro meglio per ricordarcelo. Se poi appena appena guardiamo oltre, calotte polari in disfacimento, mari e oceani con temperature oltre i limiti sono sotto i nostri occhi. Una siccità che non intende andarsene, temporali che diventano tempeste, con grandine e trombe d’aria, sono tante richieste d’aiuto che un pianeta esausto urla ai nostri orecchi.

Lasciamo quei pochi che continuano a sostenere che noi non c’entriamo niente con il surriscaldamento, e proviamo anche solo a guardare un fatto. Incontestabile. Tra le specie viventi che la terra ospita, una differenza subito balza agli occhi. Mentre tutte le altre si adattano all’ambiente in cui vivono, noi induciamo cambiamenti all’ambiente e vogliamo che esso si adatti alle nostre scelte. Che spesso tutt’altro sono che segni di attenzione e di rispetto. Consapevoli del problema, c’eravamo ripromessi di riaprire un dialogo con madre terra avviando, pur a fatica, cambiamenti sul nostro modo di vivere. Così da poterle restituire il diritto di ritrovare un suo equilibrio. In altre parole, la sua salute.

Eravamo qui. Con programmi e calendari di recupero rispetto alla ricerca di energie ecosostenibili, alternative alle fonti fossili, a una riduzione delle emissioni di CO2... e che succede? Il genio di Mosca ci regala una guerra. Come se quelle già in giro per il mondo non fossero sufficienti. E stavolta ce la porta in casa.

 

Da qualche anno il WWF dà un premio. Il Premio Attila. Lo vince chi si distingue per comportamenti o azioni contro l’ambiente, a sostegno dell’inquinamento. Attila, il flagello di Dio. Attila, dove passa il mio piede non cresce più l’erba. Chi non lo ricorda? Tra le tante nozioni accumulate negli anni di scuola, nessuno ha dimenticato che con i suoi Unni, nel V secolo, impero romano ormai in disfacimento, dalle regioni caucasiche arriva fino a noi. Bene. Oggi può dire di aver trovato un erede. Che può gridare, anche lui, che dove passa, insieme all’erba non crescono più né piante né animali né case né esseri umani. Dove passa, meglio, dove passa il suo esercito, perché lui a differenza di Attila se ne sta al sicuro nel lusso del suo Cremlino, crescono solo morte e distruzione.

 

Che c’entra con la crisi climatica? Con l’inquinamento atmosferico. Con l’avvelenamento del pianeta. Guardiamo le immagini che arrivano dall’Ucraina. Macerie su macerie. Case, strade, palazzi, ferrovie, auto, camion, carrarmati, lanciamissili abbandonati e ammucchiati qua e là. Esplosioni, incendi, bombe al fosforo, gas e ogni altra cosa fonte di distruzione. Quanto tempo, quanta energia servirà al pianeta per metabolizzare tutto questo?

Non solo. La guerra sta inducendo grandi passi indietro nei programmi di recupero rispetto al surriscaldamento e alla riduzione delle emissioni di CO2. Per superare la dipendenza dalla Russia, ci vediamo costretti a riaprire le centrali a carbone, a potenziare ulteriormente l’utilizzo e la ricerca di energia fossile. L’industria delle armi è sempre più fiorente. Accanto alla fame nel mondo anch’essa fiorente, visto il blocco delle esportazioni di cereali, ammucchiati sequestrati o distrutti nei porti ucraini. Perfino nei campi.

 

E quella tecnologia che sa potenziare la distruttività delle armi, di fronte al dramma del surriscaldamento si rivela impotente. Non sa darci la pioggia nella stagione giusta. Né sa intervenire per salvare i ghiacciai e restituire la giusta temperatura a mari ed oceani. Non solo, se anche riuscissimo a fermare subito tutte le emissioni di CO2, ci vorrebbero almeno cinquant’anni perché la terra ritorni al suo equilibrio. Ed è certo che non fermeremo queste emissioni in pochi giorni. Nemmeno in pochi anni. Tanto più ora, catturati come siamo da una guerra che non dà segnali di tregua.

Il 28 di questo mese, intanto, raggiungeremo il giorno dell’esaurimento delle risorse che la terra è in grado di metterci a disposizione per tutto quest’anno. Earth Overshoot Day. Saranno passati 210 giorni e per la fine dell’anno ne mancheranno 156. E noi continueremo a consumare, nel nostro benessere. A spese di chi non ha neppure l’essenziale per vivere.

Ma non illudiamoci. Se non siamo noi, paesi ricchi, a investire seriamente e subito su programmi di risparmio delle risorse naturali e di potenziamento delle energie rinnovabili, non ci sarà trasformazione. Il surriscaldamento aumenterà. Crescerà a dismisura il numero dei migranti. E ai nostri figli e nipoti lasceremo un pianeta invivibile.