VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

4 lug 2021

Quando ai testi sacri chiediamo di coprire tradizioni e stereotipi

Libertà di mente e di cuore

Non sederti insieme con le donne, perché dagli abiti esce fuori la tignola e dalla donna malizia di donna. Meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna. Questo è scritto nella Bibbia.[1] Così risponde un religioso musulmano alle insistenze del suo intervistatore sulla responsabilità dell’Islam nella scomparsa di Saman, la ragazza che pare sia stata uccisa dalla sua famiglia perché non voleva accettare il matrimonio che aveva deciso per lei il padre. Il giornalista cita il corano: Gli uomini sono preposti alle donne in ragione dei favori che Dio accorda a questi su quelle. E ancora Quanto a quelle di cui temete la disobbedienza, esortatele, allontanatevi dai loro letti, picchiatele. E dopo un po’ Fra le donne che vi piacciono sposatene due o tre o quattro.[2] Perché un uomo può sposare quattro donne e una donna non può sposare quattro uomini?

Domande, obiezioni, citazioni. Tra l’altro senza ascoltare, ciascuno, le ragioni dell’altro. Una brutta intervista. Sembrava fatta solo per dare spettacolo.

 

Ma non è questo il punto sul quale voglio fermarmi. Due sono gli aspetti che vorrei guardare con voi. L’uso che persone religiose fanno dei testi sacri, e una costante che sembra accomunare tante religioni: la subalternità della donna nei confronti dell’uomo.

 

I testi sacri – limitiamoci oggi ai due citati, la Bibbia e il Corano – sono libri particolari per i credenti. Scritti, la Bibbia sotto ispirazione dello Spirito che guida i vari autori, il Corano addirittura dettato a Maometto dall’arcangelo Gabriele. Chiusi dentro questa cornice, rischiamo però di perdere di vista un’importante verità: anche se guidati da una qualche Energia Celeste, gli scrittori sacri sono completamente immersi nella cultura e nel periodo storico in cui vivono. I 73 libri della Bibbia sono scritti in un arco di tempo di mille200 anni, dal XI secolo a.C. al I d. C. Quindi essi riflettono storia e culture assai diverse tra loro. Il Corano, scritto in un periodo assai più breve, anch’esso riflette pienamente valori e problematiche che caratterizzavano il mondo arabo del suo tempo, il VII secolo.

Se leggiamo un testo isolandolo dal suo contesto culturale e storico, rischiamo non solo di non comprendere cosa veramente può dire a noi, oggi, nel momento in cui lo leggiamo, ma rischiamo addirittura di attribuirgli autorità e autorevolezza su argomenti e tematiche ad esso del tutto sconosciute. Sconosciute per il contesto in cui oggi queste si presentano.

 

Una di queste è appunto la questione della parità di genere. Della pari dignità, nella differenza, tra donne e uomini. È accettabile oggi che Dio possa accordare agli uomini favori sulle donne, come afferma il Corano? È segno di civiltà e di rispetto tra persone prendere per buono quanto scrive Paolo ai cristiani di Corinto le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge? Oppure non l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo?[3]

Argomenti comprensibili se collocati mille400 anni fa quando il Corano prende forma scritta, o addirittura sei secoli prima quando Paolo scrive le sue lettere. Incomprensibili e inaccettabili oggi, in pieno XXI secolo, nella consapevolezza che la società, il mondo stanno maturando.

 

Domenica scorsa nelle chiese abbiamo letto un episodio dal testo di Marco. Una donna che soffre di perdite di sangue da tanti anni si avvicina di nascosto a Gesù, fiduciosa che le basterebbe toccare il suo mantello per essere sanata. Ma lei è impura, dice la religione. Perde sangue, quindi non può né avvicinarsi a qualcuno né essere avvicinata. Perfino se va al mercato e tocca qualcuno o qualcosa li rende impuri. L’impurità non le permette neppure di accedere al tempio. Avvicinandosi a Gesù e toccandolo, lei compie una grave trasgressione, un sacrilegio: punibile con la morte.[4] Ma l’apertura di mente e di cuore che abita Gesù lo porta non solo a non condannare questa donna. Arriva a chiamarla figlia:Figlia, le dice, la tua fede ti ha sanata. Va’ in pace”.[5]

 

Oggi ci lasciamo con una domanda difficile. Che richiede coraggio. Chi aveva scritto quelle regole nella religione ebraica? Chi stabilisce le regole sul rapporto uomo donna nel mondo islamico oggi? Chi definisce le norme di comportamento nella religione cristiana? La risposta è unica: sono gli uomini, maschi. La donna [ancora] non ha voce.

Non gridiamo allo scandalo per questo. Sappiamo bene quanto sia difficile essere consapevoli dei condizionamenti che alimentano certe tradizioni e stereotipi culturali. Quanto sia difficile, di conseguenza, muoverci per il loro superamento. Ma il rispetto della verità e il bisogno di luce che il mondo oggi esprime, non permettono alle religioni di ignorare questa domanda. È questa, credo, la strada per coltivare quell’apertura di mente e di cuore che unica ci rende liberi.

 

 

[1] Siracide 42,12-14

[2] Corano 4,V,34; 4,IV,3

[3] 1 Cor 14,34; 11,9

[4] Lev 15

[5] Marco 5,25-34