VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

14 mar 2021

Insegnanti e studenti disorientati di fronte alla pandemia

Insegnare, valutare. Educare?

Lunedì verifica di greco, martedì versione di latino, mercoledì compito di matematica, giovedì verifica di storia, venerdì interrogazioni di filosofia. E per sabato? Preparare un PowerPoint per educazione fisica sull’articolazione tibiofemorale. Così l’ultima settimana di scuola in presenza. E le interrogazioni in Dad (Didattica a distanza)? Prima devi fare un giro di telecamera per la stanza, poi i libri chiusi sul tavolo e il telefonino in bella vista nel campo inquadrato dal pc. E mentre parli, occhi fissi sullo schermo. Non si può mica fare che qualcuno ti suggerisce le risposte. Un’interrogazione in pieno stile paranoia.

Salvo particolari, secondo le discipline proprie di ogni scuola, questo è quanto mi sono sentito raccontare in questi ultimi tempi più e più volte da genitori e ragazzi delle secondarie, inferiori e superiori. E alla fine la solita domanda: ma compito della scuola è solo valutare? La valutazione. Prima la valutazione! E dire che noi pensavamo che la scuola fosse la prima agenzia educativa dopo la famiglia. O, forse meglio, a fianco della famiglia.

 

Certo, la pandemia ci ha colto tutti di sorpresa e ci ha messi in grossa difficoltà. Sistema sanitario, mondo produttivo, politica. Perfino le relazioni sociali. Non ultima la scuola. Insegnanti disorientati, alunni e studenti persi, famiglie in confusione. Il tutto all’interno di una cornice di paura. Che di volta in volta si colora d’ansia, di desiderio di rompere tutto e di scappare – sì, ma dove? – con il panico pronto ad accoglierci e coccolarci tra le sue braccia spinose.

Conosco le difficoltà e l’impegno che richiede il lavoro dell’insegnante. Quanto sia necessario e prezioso. Oltre che sottovalutato e, di conseguenza, sotto retribuito. L’ho sperimentato nei miei primi anni di attività. Poi l’ho lasciato, passando alla clinica. E successivamente ripreso, sia pur in un’area particolare, com’è la psicoterapia, e con altri allievi, adulti e già laureati.

 

Le riflessioni di oggi, oltre che un pensiero di solidarietà con gli insegnanti, vogliono essere uno stimolo a ripensare il loro lavoro. Il rischio di lasciarsi catturare dai registri che reclamano voti e dalle richieste di circolari più o meno ministeriali che si rincorrono, a volte perfino contraddicendosi, è troppo alto per non fermarsi, e riflettere. Siamo in tempi d’emergenza. E l’emergenza molto spesso ci costringe ad agire con rapidità, privandoci del tempo necessario per guardare bene la situazione. Perché quella stessa attenzione richiesta ai sanitari nel prendersi cura dei malati, è richiesta agli insegnanti verso i loro studenti.

La Dad è faticosa. Molto più stancante e sfinente di quanto non lo sia la normale attività didattica. Uno schermo freddo, volti che ti guardano, ridotti a qualche centimetro quadrato. Corpi che non si vedono né si sentono. Relazioni umane ridotte a un mucchio infinito di pixel che riproducono visi, ma del tutto incapaci di farti sentire la persona che disegnano. Per non parlare degli occhi che, alla fine della giornata, t’implorano di poter guardare un po’ di cielo e qualche chioma d’albero, bruciati come sono dalla luce artificiale e dalle radiazioni che li hanno aggrediti per tante ore.

Questa la condizione degli insegnanti. Ma questa è anche la condizione degli studenti. E non facciamoci ingannare dal pensiero che tanto i ragazzi ci starebbero ugualmente davanti agli schermi di pc o smartphone.

 

No. Un insegnante educatore non può esimersi dal porsi questa domanda: dov’è la relazione interpersonale che una scuola educativa deve, prima d’ogni altro aspetto, coltivare? Se non ascoltiamo questa domanda, viene facile scivolare verso una scuola ridotta a fabbrica di nozioni da trasmettere dalla mente dell’insegnante a quella dell’alunno. E mettere al primo posto la verifica degli apprendimenti. Conosco bene l’incapacità dei burocrati del ministero di pensare il lavoro degl’insegnanti come un’attività di formazione. Per loro, registro con il numero di voti previsto, foglio delle presenze ben compilato e registri elettronici accessibili alle famiglie, la scuola è a posto. Ma loro sono burocrati, non sono educatori. Anzi, essi per primi sono prigionieri di un pensiero meccanicistico: sistemate le caselle, tutto funziona.

Certo, gli insegnanti hanno bisogno di sentire che il Dirigente – ridotto spesso ad amministratore d’azienda – pensa la sua scuola come il luogo della formazione per le nuove generazioni. E i dirigenti di oltrepassare timbri e carte, e ritrovare la loro funzione educativa.

I ragazzi sono disorientati. Gli insegnanti in confusione. Incontriamoci, parliamoci, proviamo ad ascoltarci. È nostro, di noi adulti il compito di trovare la buona strada sulla quale portare i ragazzi che ci sono affidati. Anche in tempi d’emergenza.