VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

6 set 2020

Dal significato della parola al valore del libro

È un’apocalisse...!?

Coincidenze. O, meglio, come preferiva dire Jung, sincronicità (da syn insieme, e chrònos tempo). Cioè simultaneità. Un incontro tra fenomeni o eventi che si verificano nel medesimo tempo. Dove la coincidenza è solo temporale, senza altri legami né di dipendenza né di causalità tra l’uno e l’altro. Così è avvenuto. Nell’ultimo numero di Voce, nell’intervista a un giovane medico a contatto con la pandemia, trovo nel titolo «... di ritorno dall’apocalisse». La settimana precedente ero stato invitato a un Corso Biblico, presso il monastero di Fonte Avellana, sul libro Apocalisse.

Per Jung la sincronicità non è un evento puramente casuale: dal suo punto di vista è un invito a cercare di cogliere i nessi e ad interrogarci su possibili significati che quest’incontro comporta per chi ci si trova coinvolto. A me è sembrato un richiamo a dedicare il nostro appuntamento di oggi proprio a questo libro straordinario.

Con due obiettivi. Il primo, restituire alle parole il loro significato. L’altro, provare ad incontrare un libro che a prima vista sembra dirti: chiudimi subito, tanto non puoi capirci niente.

 

La parola. Come nell’esempio che citavo da Voce, nel linguaggio comune quando diciamo è un’apocalisse di solito intendiamo che ciò di cui stiamo parlando è una tragedia, un disastro, un cataclisma. Un evento che non avremmo voluto incontrare, tantomeno trovarcisi coinvolti. Ma la parola apocalisse non significa questo.

Come tante altre parole che usiamo ogni giorno, anche questa deriva dall’antica lingua greca. Apokàlypsis è formata da apò (allontanamento) e kalỳpto (nascondere). Quindi significa non-nascondere, dis-velare. La traduzione corretta di APOCALISSE quindi è RIVELAZIONE.

Cos’ha da spartire con tragedia, disastro e voci simili? Niente! Perché allora viene comunemente usata con questi significati? Ne troviamo la ragione quando apriamo il libro e iniziamo a leggerlo.

 

Il testo ha uno stile tutto particolare: si presenta con una miriade di immagini, per di più dall’apparenza strana e di primo acchito incomprensibili. Avete presente quei sogni che al mattino ci lasciano senza parole? Ci troviamo in un posto, poi in un altro che con il primo non c’entra niente; incontriamo una persona che ci richiama uno che nella realtà conosciamo bene, ma nel sogno ha il suo nome ma il viso o il corpo è tutto diverso; sentiamo parlare qualcuno che ci pare di conoscere, poi questi scompare e ci ritroviamo da tutt’altra parte; stiamo per prendere un treno, ma il treno sparisce e ci ritroviamo in mezzo alla campagna, soli, con dei cani che minacciano di aggredirci... Ciascuno di noi qui riempirebbe un’enciclopedia con i sogni strani e incomprensibili che l’hanno accompagnato nelle sue notti, recenti o lontane!

 

Ecco, il libro Apocalisse (= Rivelazione) usa un linguaggio simile. È ricchissimo d’immagini che si accavallano e s’intrecciano l’una con l’altra. Difficili da pensare, perfino da immaginare il più delle volte.

Quando nasce questo libro e perché usa un linguaggio che parla più con immagini che con ragionamenti? Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia (che, lo ricordiamo, è una raccolta di libri: biblìa, parola greca, è il plurale di biblìon, libretto: quindi Bibbia significa Libretti). È scritta intorno agli anni 94-95, nel pieno delle persecuzioni di Domiziano, che nell’81 era succeduto a Tito. Periodo durissimo per i cristiani. Roma non può accettare che il suo imperatore non sia riconosciuto e venerato come un dio. Gesù era stato giustiziato appena sessant’anni prima, sotto Tiberio, ma già troppi erano quelli che nel suo nome rifiutavano il culto al Cesare di turno. In un periodo così duro era facile lasciarsi prendere dallo sconforto e dalla sfiducia nell’attesa di un ritorno del Cristo che allora era atteso in tempi ravvicinati. Ma il Maestro tardava a venire. E Roma era troppo potente per pensare che sarebbe crollata. (Giusto per avere un’idea, possiamo pensare alle persecuzioni degli ebrei sotto il nazifascismo).

 

Perché la parola Rivelazione a titolo del libro? Di quale rivelazione si tratta? Prendiamo un’immagine: «Un angelo possente allora prese una pietra simile a una grande macina e la scagliò nel mare, dicendo: "Così sarà scaraventata d’un colpo Babilonia, la grande città e non la si troverà più"». Babilonia, che nella tradizione ebraica rappresenta la prigionia, la deportazione, il male, è Roma. Anch’essa, pur con tutta la sua potenza, avrà fine e precipiterà in fondo al mare. (Attualizzare la Scrittura porterebbe a chiederci chi o cosa può rappresentare Babilonia per l’umanità di oggi... ma adesso non possiamo farlo: magari ci torneremo).

Ci muoviamo verso la fine del libro, ora. Troviamo ancora parole di vita: «Egli, Dio-con-loro, asciugherà ogni lacrima dai loro occhi: la morte non ci sarà più, né lutto né grido né affanno ci saranno più... Ecco, io faccio nuove tutte le cose». E a conclusione: «Sì, vengo presto. Vieni, Signore Gesù».

 

Trovate ancora che apocalisse è sinonimo di disastri?

Ecco perché abbiamo bisogno di recuperare il vero significato di questa parola. Ma, ancor più, il senso, il messaggio, anche per noi oggi, di un libro così coinvolgente e straordinario!

 

[1] Apocalisse 18,21; 21,4-5; 22,20