VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

20 set 2020

L’orgoglio del presidente USA: una nuova arma ‘incredibile’

Ciechi o... infantili?

Probabilmente l’abbiamo fatto tutti. Dopo una sculacciata del babbo, ci siamo precipitati a dire, naturalmente a dovuta distanza per evitare di prenderne un’altra, “tanto non mi hai fatto male!”. Era il tentativo del nostro io di risollevare la testa. Un io bambino, combattuto tra la consapevolezza che la sua forza non poteva competere con quella di un adulto, e il desiderio di non soccombere di fronte al più forte.

Qualcosa di analogo mi pare sia venuto alla luce questi giorni. Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato al mondo che adesso il suo paese dispone di un’arma nuova e straordinaria. Un’arma contro il Covid, penseremmo tutti. Macché, tutt’altro: «Un sistema bellico nucleare che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese. Abbiamo cose che non hai mai visto né sentito. Abbiamo cose di cui Putin e Xi non hanno mai sentito parlare prima... quello che abbiamo è incredibile». Così Trump al famoso giornalista del Watergate.[1]

 

Ancora prigionieri del gioco di dover competere gli uni contro gli altri, di voler estendere il nostro potere sul resto dell’umanità e sullo stesso pianeta. E dire che una bella lezione da Covid19 ci è arrivata. E, per la verità, continua ad arrivarci. Ma noi, niente. Ottusi. Non ne vogliamo sentire. Ce l’ha detto: non siamo in grado di controllare nulla del mondo naturale. Ma noi, incapaci di riconoscerlo, stesi a terra, come tanti bambini “tanto non mi hai fatto male!” continuiamo, con gli occhi lucidi e il naso gocciolante. E il panico pronto ad assalirci. Non vogliamo riconoscere che il ruolo di padroni che ci siamo assegnati è così improprio e fuori dalla realtà, che un minuscolo e invisibile essere, incapace perfino di vita autonoma, ci ha dimostrato che anche senza di noi la vita sul pianeta continuerebbe indisturbata. Le onde del mare a rincorrersi, le nuvole a volare nel cielo, gli altri animali a vivere e riprodursi. E i nostri arsenali, stracolmi di armi micidiali, potenti distributori di morte, sanno soltanto dirci la loro impotenza di fronte alla forza di un microscopico virus.

 

Antropocene abbiamo chiamato questo tempo (da ànthropos uomo e kaìnos nuovo, recente). La fase del ciclo vitale del pianeta Terra segnata dall’impronta di Homo sapiens. Ultimi arrivati, ci dicevamo qualche settimana fa, sùbito con la presunzione di collocarci sul gradino più alto, ignorando del tutto chi prima di noi questa casa già l’abitava e ne era parte integrante.

Con un’età di appena duecento millenni, abbiamo la pretesa di snobbare chi di anni ne ha tre milioni: più o meno questa è l’età del coronavirus e dei suoi fratelli. E invece di trattare con rispetto e di cercare un dialogo con gli ospiti più anziani, ci siamo messi a litigare tra noi nella presunzione che, ricchi della consapevolezza che la terra nella nostra specie esprime, possiamo fare e disfare a nostro piacimento, utilizzare e sfruttare tutto e tutti. Calpestare ogni altra espressione della vita. Piante, animali, aria, acque.

Covid19 ci ricorda che i primi arrivati nulla hanno contro di noi. Ma a patto che antropocene, la fase più recente del ciclo vitale del pianeta, s’inserisca in un processo evolutivo.

 

La specie uomo, dicono gli studiosi, è diventata agente geologico: ha sviluppato la capacità di incidere sulla struttura della Terra. Al punto che la dicotomia tra ambiente e società appare superata, e perfino economia ed ecologia non possono più essere coniugate separatamente.

«Non possiamo pretendere di essere sani in un mondo che è malato. Le ferite provocate alla nostra madre terra sono ferite che sanguinano anche in noi» scrive Francesco.[2]

Sembriamo incapaci di riconoscere che la nostra stessa sopravvivenza è in pericolo. Certo per la stupidità dei super armamenti nei quali investiamo un’infinità di risorse, ma anche per l’incapacità di riconoscere che le alterazioni che stiamo provocando all’ecosistema ci ricadono addosso. Una sorta di occulta regia masochista sembra guidarci nei rapporti con il pianeta.

Recuperare la consapevolezza che la nostra vita, come individui, come società e addirittura come specie, non dipende completamente da noi, è una strada assolutamente da ritrovare. L’umanità, la nostra esistenza dipendono anche da entità non-umane. Gli agenti atmosferici, le tecnologie, gli altri esseri viventi. In una parola, la Terra nel suo insieme.

 

Ascoltiamo questo sgradito e implacabile maestro. Covid19 è un segno indelebile per l’umanità. Possiamo ignorarlo, sì. Far finta di non vederlo. Ma lui non ignora noi. Siamo ben presenti nel suo campo visivo. Giovani o vecchi, colti o ignoranti, credenti o non credenti. Perfino pensanti o non pensanti. E dalla sua scuola non ci lascia andare se non apprendiamo la lezione che è venuto a darci.

Quanto dureremo a investire nei super armamenti e, stupidamente, a vantarcene, incapaci di ri-collocarci nell’armonia della natura?

 

[1] Bob Woodward, Rage 2020

[2] Francesco, Giornata mondiale dell’ambiente 2020