VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

27 gen 2019

27 gennaio. Il giorno della memoria

Ricordare ci rende liberi

«Lasciate stare. Non si deve rivangare il passato. Si cavi un occhio a chi lo rimesta. Il proverbio però aggiunge: E due a chi lo scorda!». Così Solženicyn nel suo Arcipelago GULag.[1] E lui sapeva bene quale passato stava per ricordare. Il periodo più buio dell’Unione Sovietica. Mentre di qua, nell’Europa occidentale, stavano maturando il Terzo Reich e l’Italia fascista. Ho come la sensazione di parlare di preistoria, rievocando quei tempi, eppure non sono passati neppure cento anni. E queste cose, non in un altro pianeta sono avvenute. Ma a casa nostra. L’Arcipelago GULag e i lager nazisti, compagni di cordata, hanno segnato il secolo scorso. Affiancati degnamente dal regime di terrore della Cina di Mao.

Non si deve rivangare il passato. Si cavi un occhio a chi lo rimesta. E due a chi lo scorda.

Ricordare costringe a pensare. E pensare ci porta, inevitabilmente, a volgere lo sguardo su noi stessi. Dentro noi stessi.

 

Ma qui iniziamo a perderci. Perché guardare dentro ci fa incontrare una domanda: chi siamo noi per noi stessi?

Homo, sacra res homini, l’uomo è un’entità sacra per l’uomo, scriveva Seneca duemila anni fa. E due secoli prima Lupus est homo homini, l’uomo è un lupo per l’altro uomo, affermava Plauto.

Homo homini aut deus, aut lupus, l’uomo per l’altro uomo è o un dio o un lupo, così Erasmo da Rotterdam, prima metà del 1500.

Sì, questa credo sia la grande verità. E la grande responsabilità. Sta a noi scegliere. Saper vedere nell’altro un’entità sacra, o un nemico da combattere e da annientare.

 

Ecco a cosa serve ricordare. A non dimenticare che questa scelta è sempre aperta davanti a noi. Perché noi siamo fatti di libertà. Quella libertà che il credente vede come dono del creatore e alla quale il Maestro di Nazareth ci ha richiamati. Ma è un dono, un tesoro che richiede cura. Attenzione. Responsabilità.

Non per nulla il Grande Inquisitore è convinto che il suo prigioniero merita il rogo più di ogni altro. Proprio perché ha voluto lasciare agli uomini la libertà: «Anziché impossessarti della libertà degli uomini tu l’hai accresciuta ancora di più. [...] Ma gli uomini, questa debole razza ribelle, sono forse dèi? [...] Per questo noi abbiamo corretto la tua opera. E gli uomini si sono rallegrati di essere guidati di nuovo come un gregge e di vedere il loro cuore finalmente liberato da un dono tanto terribile che aveva arrecato loro tanti tormenti. [...] Con noi saranno tutti felici e non si ribelleranno più né si stermineranno a vicenda, come facevano ovunque con la tua libertà».[2] Questo prigioniero, che non dice una parola al suo accusatore, è quel Gesù che aveva detto Voi siete tutti fratelli.[3]

 

Liberare gli uomini dalla libertà. Così il Grande Inquisitore vede il senso della sua opera. L’uomo non ha la capacità di scegliere se lasciato a se stesso. Può soltanto eseguire quanto un’autorità più grande di lui gli dice di fare.

L’inquisizione, sappiamo, giocava su temi di religione. Su dogmi e presunte verità costruiti in nome di Dio. Su fantomatici accordi sottoscritti con il demonio – soggetto onnipresente negli interrogatori dei prigionieri, che inesorabilmente portavano il malcapitato (più spesso la malcapitata) a finire sul rogo.

E fuori dalla religione? Non è la stessa logica che portava gli imputati di Norimberga a giustificare i loro crimini con Io eseguivo gli ordini? Era il ritornello-rifugio. Dichiarandosi in questo modo incapaci di gestire quella libertà che la natura mette nelle mani di ciascuno. Incapaci di ascoltare la propria coscienza, di misurarsi con una propria scala di valori. Io eseguo gli ordini è la stessa giustificazione dietro la quale si rifugiavano i giudici del GULag sovietico. Ancora Solženicyn: «Per fare del male l’uomo deve prima sentirlo come bene o come una legittima assennata azione. La natura dell’uomo è, per fortuna, tale che egli sente il bisogno di cercare una giustificazione alle proprie azioni». E dove la trova questa giustificazione? Nell’ideologia, risponde.

Ma attenzione, perché l’ideologia può nascere e crescere nei contesti più diversi. Nella politica, per esempio, quando abbiamo bisogno di un nemico comune cui attribuire la responsabilità del male e dei problemi nella nostra società; nella visione dell’uomo e della sua natura; perfino nella religione, quando questa, anziché via di libertà, diventa sistema strutturato e codificato, prigioniero di regole e verità rigide e intoccabili.

 

Ricordare ci rende liberi.

Ricordare. La shoah. L’arcipelago GULag. Le foibe. La Cina di Mao. Il secolo XX.

Ma dovremmo anche avere il coraggio di dire: Ricordare. I sepolti nel Mediterraneo. I campi di concentramento libici. L’Europa rinchiusa in se stessa. Questi primi due decenni del XXI secolo.

Homo homini, aut deus aut lupus.

 

[1] A. Solženicyn, Arcipelago GULag, 1973

[2] Dostoevskij, I fratelli Karamazov, 1880

[3] Matteo 23,8