VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 nov 2019

Prefazione di Federico Cardinali

Chi impara da un suo compagno
uno squarcio o una sentenza,
o un testo o un’espressione, o anche una sola lettera,
deve fargli onore.
(Pirqé Avòt, Lezioni dei Padri)

 

Dove c’è perfezione non c’è storia
(C. R. Darwin)

 

 

Sono più di dieci anni che di settimana in settimana c’incontriamo su Voce della Vallesina. Ce lo siamo detti l’anno scorso: era il 27 luglio 2008 quando per la prima volta ci siamo sentiti.

Iniziando a scrivere questa prefazione, sono andato a rileggere quanto c’eravamo detti in occasione di quella ricorrenza. C’eravamo lasciati con quel pensiero di Gesù di Nazareth «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato».[1] Ricordando che allora, nel suo contesto storico culturale, la parola sabato significava tutto un insieme di regole, leggi, tradizioni, precetti (ebr. mitzvòt). Gli uomini del potere, politico-e-religioso, erano arrivati a codificarne ben 613, scrupolosamente divisi in 248 obblighi e 365 proibizioni. Obblighi e proibizioni cui ogni bravo e fedele israelita doveva adeguarsi. Pena la perdita della benevolenza del suo Dio e la conseguente minaccia di punizione.

 

La rivoluzione del Maestro non faceva che operare uno spostamento: metteva l’uomo, la persona, prima del sabato, cioè prima delle regole. Semplice a dirsi. Sconvolgente a farsi. Accettare questa strada, infatti, significa avere la forza di «ascoltare e accogliere chi hai davanti». Perché mentre una regola o una dottrina sono fisse, sicure, chiare, immutabili, la persona è in movimento. In evoluzione. «Le regole e le dottrine vivono di certezze. Statiche e invalicabili. La persona vive di domande. Di dubbi. Ha bisogno di ascoltare le domande che nascono nel suo cuore. Di cercare risposte. E di farle diventare nuove domande. L’uomo è in cammino. La dottrina è ferma».

E alla fine, riflettendo su tutti questi anni di dialogo, con voi e con me stesso, a conclusione, scrivevo: «Cos’altro posso dire? Che la Vita, in continuo movimento, mi ha spinto fuori dall’immutabile e dal sicuro di una dottrina. Sia essa frutto di una delle tante scuole di pensiero in campo scientifico, [sia essa] fondata sui precetti di una religione. È questo, credo, che in questi dieci anni mi ha portato a condividere con voi più domande che risposte. Fino ad invitarvi, spesso, a fare insieme qualche passo oltre il recinto delle sicurezze acquisite».[2]

 

In questi ultimi tempi ci siamo scontrati, nella nostra Italia, con leggi e regole che in nome di nostri presunti interessi e diritti, da mettere davanti a tutto e a tutti, ci hanno portato a trattare altri, che non erano dei nostri, come merce di scambio. Oggetti tramite i quali barattare un’immagine di forza, tanto vuota quanto inumana. Uomini e donne di altri popoli – ma, guarda caso, appartenenti alla nostra stessa umanità – si son visti respingere e negare ogni diritto. Ogni rispetto. Ogni attenzione. E noi, buona parte di noi, pronti a inneggiare al pifferaio di turno.

Stiamo provando ad andare oltre. Ce la faremo.

 

Non ho altro da aggiungere. Se non rinnovarci, reciprocamente, l’invito a non aver paura ad uscire qualche volta dal recinto. Anche se così facendo non avremo la benedizione delle autorità costituite. In politica, nella scienza. Perfino nell’ambito delle religioni.

Ma la mente e l’anima hanno bisogno di respirare. E il chiuso di una stanza o di un recinto, se non apriamo finestre o cancelli, prima o poi toglie il respiro. «Va bene che tu affacci la tua testa in cielo, ma non che tu cacci il cielo nella tua testa» scriveva Etty Hillesum.

 

* * *

 

Come sempre, non posso non ringraziare Voce della Vallesina, la direttrice Beatrice Testadiferro – che stavolta ci ha scritto la Presentazione –, e l’editore, la Diocesi di Jesi nella persona del Vescovo Gerardo Rocconi. Per la loro disponibilità, fatta di pazienza e di apertura anche quando pensieri e domande potevano non essere pienamente condivisi. Apertura che è indice di disponibilità al dialogo. Merce, di questi tempi, non così facilmente reperibile. Ben consapevole che dialogo non significa scambio di opinioni soltanto tra chi condivide posizioni simili. Dialogo (dià, che indica anche differenza e divisione, e lògos, che significa parola, pensiero, posizione) a volte significa anche disaccordo. Che però non diventa chiusura o rifiuto o respingimento. Ma capacità di ascoltare opinioni diverse, e coraggio di permettere che anche queste vengano espresse su un settimanale di cui si ha la responsabilità. Legale e morale.

 

Grazie anche a Gabriella Guidi, la condirettrice dell’Istituto di Terapia Familiare, che ancora continua, instancabilmente, ogni settimana, a dedicarci il suo tempo per leggere e valutare con me una pagina, prima che questa arrivi al giornale.

 

[1] Marco 2,27

[2] Pag. 243 (passim)