VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

10 giu 2018

Riflessioni e domande sul momento storico che stiamo vivendo

La pancia e la testa

Gli italiani ragionano con la pancia. Ce lo siamo sentiti dire tante volte, non ultimo dopo i risultati delle elezioni politiche di marzo. Quasi a cercare una spiegazione allo scompiglio che queste hanno portato e allo stato di confusione che ne è seguito, e che ci siamo dovuti sorbire in questi tre mesi. Proposte e controproposte, reazioni e controreazioni. Commenti fuori misura e parole fuori posto, accettabili, sia pure con qualche riserva, tra amici al bar, ma indegni di uomini che si presentano per governare un paese.

Due riflessioni mi hanno aiutato in questi giorni di caos, dove ciò che era vero lunedì diventava falso martedì, salvo poi a ritornare dicibile il giorno successivo, sicuri che ventiquattr’ore dopo sarebbe di nuovo tutto cambiato. E per lasciarle vive nella mia mente, a mo’ di luce per coltivare una speranza di sopravvivenza, ho chiesto aiuto. Alla biologia e alla storia.

 

La biologia.

Ragionare con la pancia non è poi una frase così assurda, così lontana dal vero. Forse non è corretto usare la parola ragionare, ma riconoscere che certo nostro agire è guidato più dalla pancia che dalla testa è un atto di verità. Vent’anni fa usciva il lavoro di uno studioso americano che aveva per titolo Il secondo cervello.[1] Parlava proprio della pancia, del nostro intestino. Questo tubo di oltre 15 metri che «pur avendo solo un decimo dei neuroni del cervello, lavora in modo autonomo, aiuta a fissare i ricordi legati alle emozioni e ha un ruolo fondamentale nel segnalare gioia e dolore. L'intestino è la sede di un secondo cervello vero e proprio. Le cellule dell'intestino producono il 95% della serotonina, il neurotrasmettitore del benessere». È esperienza di tutti, credo, sentire come il nostro intestino entri subito in risonanza con ogni nostro stato emotivo. Gioia, dolore, ansia, piacere, paura, angoscia... non le sentiamo anche con la pancia? La digestione, in tutte le sue fasi, non è influenzata dagli stati d’animo?

Fin qui tutto normale dunque. Sì. Salvo il fatto, però, che noi abbiamo anche l’altro cervello. Che dovrebbe essere il primo. Ed è lui che ci permette di ragionare e riflettere. È con lui che diventiamo consapevoli dei nostri pensieri e delle nostre scelte.

Salute vorrebbe che, pur spinti da emozioni che si agitano nella pancia, proviamo a non ostacolare la connessione che questa dovrebbe avere con la testa.

Sappiamo benissimo come tutti gli imbonitori, pubblicitari e propagandisti, usino le più sofisticate strategie per farci acquistare quanto vogliono venderci o per indurci a scegliere, tra l’uno e l’altro, quello che decidono loro. Stessa strategia, e stessi trucchi, da parte di certi uomini della politica. Ed è facilissimo cadere nelle loro reti. Psicologi esperti li guidano nella scelta delle parole, dei toni, dei colori, perfino dei suoni. E noi, se non facciamo lavorare insieme i due cervelli... ragioniamo solo con la pancia. Perché è ad essa, e con essa, che tanti politici parlano.

 

E ora la storia.

Duemila400 anni fa Tucidide scrive che gli ateniesi sono i migliori tra i popoli dell’Ellade, l’antica Grecia. Perché essi amano il bene e cercano la sapienza. Due parole per definirli: filokaloùntes (filèo, amare e kalòs, il bello, il bene) e filosofoùntes (filèo e sofìa, sapienza). Poi ci riporta le parole che Pericle, politico e militare ateniese, rivolge al popolo: ne esalta il valore, ed evidenzia come la sua forza abbia a fondamento la forza della democrazia con cui Atene sa amministrarsi. E aggiunge: “Ci è stato insegnato a rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto”. Poi, a conclusione: “La nostra città è aperta al mondo, e noi non cacciamo mai uno straniero”.[2]

Duemila400 anni sono passati. Le scienze e la tecnologia hanno fatto passi straordinari, semplicemente impensabili allora. La civiltà e l’umanità hanno attraversato vicende d’ogni genere: guerre, scoperte, nuove nazioni e nuovi confini. Perfino nuove religioni. Da Atene e Sparta, a Roma. A Bruxelles. Dalle piccole-grandi città stato all’Unione Europea...

 

Segnali grandi di civiltà e di progresso. Senza dubbio. Ma anche nubi all’orizzonte. Dev’essere per questo che, questi giorni, continua a risuonarmi una domanda antica: Sentinella, quanto resta della notte? Essa nasce lontana da Tucidide, nella geografia (siamo a Gerusalemme) e nel tempo (tre secoli prima). Il popolo ebraico stava vivendo tempi bui, tra confusione di valori e rischi di gravi conflitti.[3]

È una grande domanda. Timore e speranza vi ritrovo. Anche oggi. Timore che la notte sia ancora lunga. Speranza che l’alba non tardi troppo a farsi vedere.


 

[1] Michael D. Gershon, 1998

[2] Tucidide, Storie

[3] Isaia 21,11