VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

8 mar 2018

8 marzo. Pensieri di una donna del ’68

Fortunata? No, mi sento grata di Gabriella Guidi

Sono nata il 17 agosto. È stata un’ostetrica che ha aiutato mia madre a farmi venire al mondo nella mattina. Alle 6,30. In casa. So di essere stata molto attesa da mia madre. Le era stato detto che una terza gravidanza l’avrebbe aiutata a ritrovare fiducia in se stessa. E sicuramente avrebbe smesso di fare brutti pensieri: io l’avrei aiutata a ritrovare la voglia di vivere.

È con questo stato d’animo che mi ha aspettata.

Secondo i suoi racconti il parto non è stato difficile e, cosa eccezionale, sono nata con la camicia (il sacco amniotico). Questo era il segno della fortuna che io portavo, a me e a lei.

 

Questo è il mito che mi ha aiutata, ma mi ha anche fatto tanto sentire in colpa nei confronti dei meno fortunati: i fratelli per primi, poi... tutti i poveri e diseredati del mondo. Nessun merito era mio, ma era il fato, la fortuna. Che mi permetteva di riuscire e di cavarmela di fronte alle prove della vita.

Il debito da pagare non riuscivo mai a saldarlo.

I miei genitori non si rendevano conto che la loro scelta, guidata dal consiglio di un luminare – una nuova gravidanza la farà pensare ad altro –, faceva sì che io venissi investita delle aspettative e dei desideri di benessere. E non potevo essere attesa come una bambina in formazione, con un progetto autonomo di vita, verso il futuro. Non era nelle loro intenzioni, ma io per decenni ho girato intorno a questo bisogno.

Quante altre donne avranno iniziato il loro cammino di vita con un compito simile sulle spalle. Perché è alla donna che noi chiediamo di salvare e di prendersi cura. Allora, subito dopo la guerra, come oggi, a settant’anni di distanza.

 

Poi un giorno mi sentii dire da una persona amica: “Tua madre ti ha amata. Come poteva”. Lì per lì non ne compresi bene il senso. Poi però pian piano queste parole entrarono in me e quel ti ha amata come poteva diventava sempre più forte. Può una persona amare più di quello che può? Significa che lei ce l’aveva messa tutta. Proprio tutta. Tutta la sua energia, tutta la sua cura, tutta la sua capacità di amare lei l’aveva messa in campo. Per me.

E da quel giorno sono riuscita a perdonare a mia madre. E il pensiero che sarei dovuta essere io, nascendo, a prendermi cura di lei, ha iniziato a trasformarsi. Se sono nata e se son potuta crescere, costruirmi una professione, farmi una famiglia è perché lei si è presa cura di me. Come poteva. Con tutte le sue energie.

Nel mio lavoro di psicoterapeuta incontro tante ragazze, donne giovani e meno giovani, che hanno sempre un conto aperto con la madre. Perché è a lei che si chiede tutto.

 

Come dicevo, ho sempre pensato di essere fortunata nella vita. Ero nata con la camicia. E ancora una volta ho incontrato una voce che mi ha detto: “Non sei fortunata tu. Tu sei grata”. Sai esprimere gratitudine alla Vita per quello che ti ha dato e continua a darti.

Non è che tutto sia stato facile per me. Nient’affatto. E non lo è neanche oggi. Ma questo pensiero di gratitudine alla Vita mi piace coltivarlo. Mi fa sentire in armonia con le persone e con il mondo.

 

Buon 8 marzo!