VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

1 apr 2018

In cammino. Verso una Pasqua ancora lontana...

Buona Pasqua!

Sì, Gesù, come vedi non è la prima volta che provo a parlare con te su questa pagina. È che non è facile per me trovare tanti interlocutori disposti a seguirmi in questi miei pensieri. Non che io li ritenga giusti e veritieri. Credo però che possano essere ascoltati e un confronto lo meritino. Questo sì. Né, per questo, penso di peccare di presunzione. Io sono convinto che i pensieri di tutti hanno diritto e bisogno di essere ascoltati. Poi ciascuno ne farà tesoro. Per prenderli e ampliare il proprio punto di vista. Oppure per prenderli poi lasciarli andare perché non gli dicono.

 

Il primo problema è che non mi ritrovo in sintonia con il tempo del calendario. Mi pare che Pasqua arrivi tanto spesso e altrettanto velocemente. Così come mi sembrano veloci i giorni dell’agenda, sempre piena, e, se proprio te lo devo dire, anche i giorni... del mio compleanno! Ecco, questo è il primo pensiero. Che mi mette davanti una non piccola difficoltà: il tempo del calendario e il tempo della mia anima non sono sincronizzati.

Provo a spiegarmi. Pasqua significa passaggio. Lo so che non devo dirlo a te: questa parola l’abbiamo presa tale e quale dalla tua lingua. Pesach voi dicevate. Così continuano a dire i tuoi connazionali ebrei. Ma se parliamo di passaggio significa che dobbiamo passare. Muoverci. Da un luogo a un altro. Da un modo di pensare a un altro. Da un modo di vivere a un altro. A me sembra di stare sempre qui. Con i miei pensieri. Con i miei problemi. Con i problemi che gli altri mi portano e che li tengono prigionieri. Meglio, che ci tengono prigionieri.

Allora Pasqua diventa un giorno come un altro. Quale passaggio fa la mia anima? Quale passaggio fa la mia vita, il mio modo di guardare la vita, il mio modo di viverla? Ho la sensazione che chi passa sia soltanto il giorno di Pasqua. Arriva. E se ne va. E io, noi restiamo fermi dove siamo. Noi, persone singole. Noi, società civile. Noi, chiesa. Che continuiamo a dirci cristiani, tuoi discepoli.

 

L’altro pensiero è ancora più difficile da dirti. Ci provo. Mi fido di te che conosci il cuore degli uomini e non hai bisogno che alcuno te ne parli. Così il tuo amico Giovanni ci ha lasciato scritto in quel suo libretto – che noi, travisando un po’ il tuo pensiero, chiamiamo Vangelo.[1]

La tua Pasqua è un passaggio... straordinario. Vedi, la Pasqua degli ebrei, tuoi connazionali, ci è facile comprenderla: è un ricordo. Il ricordo di un avvenimento che appartiene alla vostra tradizione: l’uscita dalla schiavitù. Il passaggio dalla prigionia alla libertà. Poco importa la verità storica, per come noi moderni la intendiamo. Importante è la verità religiosa. Culturale. La tua Pasqua – che dovrebbe essere la nostra Pasqua, la Pasqua di tutta l’umanità – è troppo lontana dalla nostra esperienza. Anch’essa ci parla di liberazione. Ma di liberazione dalla morte. Anch’essa ci parla di uscita da una prigionia. Ma non da una prigionia politica o militare. Da una prigionia esistenziale.

 

Liberazione dalla morte significa liberazione dal dolore. Dalla sofferenza. Dalla fatica di un quotidiano che spesso ci opprime. Ci fa perdere l’orientamento.

Vedi, Gesù, oggi viviamo in un paradosso sempre più eclatante. Ci siamo dotati di una tecnologia che ci permette di orientarci con esattezza in ogni punto della terra. Ma siamo più disorientati che mai di fronte alla vita. Al suo significato. Al senso del vivere. Ci ritroviamo sempre più persi tra le mille cose di cui ci siamo circondati e tra i diecimila problemi che invadono la nostra mente. L’ansia ci accompagna perfino di notte. E ci tieni svegli. La depressione è una nuvola in cui ci ritroviamo immersi, come in quei giorni in cui la nebbia o lo smog c’impediscono di vedere a un palmo dal naso.

È che noi siamo ancora fermi alla... settimana santa. La nostra vita è ancora nel tempo di passione. Quello in cui anche tu hai provato lo sconforto e l’angoscia della solitudine e dell’incomprensione. E noi, oggi, con una tecnologia che ci vede sempre e ovunque connessi, ci ritroviamo soli. In una solitudine estrema: disconnessi da noi stessi. Nel frastuono e nella confusione.

 

Adesso che sono riuscito a dirti questi pensieri, mi viene un dubbio. Non sarà che tu con questi giorni di Pasqua che arrivano così spesso, anno dopo anno, ci vuoi mandare un raggio di luce che attraversi la nebbia che ci avvolge? Chi sa, a forza di sentire che è Pasqua, alla fine riusciamo anche ad acuire il nostro sguardo e intravvedere che davvero oltre la morte c’è la Vita. Una Vita nella quale «la morte non ci sarà più, né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate».[2]

Caro Gesù, credo che dovrai darti da fare parecchio perché queste parole, oltrepassando i limiti della nostra mente, possano raggiungere la profondità delle nostre anime.

Intanto noi ci auguriamo un Buon... Passaggio!

 

[1] Cfr. Giovanni 2,24-25

[2] Apocalisse 21,4