VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

2 lug 2017

Le dieci parole. Una saggezza perduta?

Tuo padre e tua madre

Oggi vi farò lavorare un po’. Proveremo, insieme, a fare un viaggio nel passato per attingervi qualcosa che ci arricchisce nel presente.

Dieci parole – così nella tradizione ebraica sono chiamati quelli che noi, abitudinari, continuiamo a chiamare dieci comandamenti – fondano il rapporto tra il Dio creatore e gli uomini, sue creature. Molto di più. In esse è contenuto anche il modello per costruire relazioni sane tra noi umani. Nella saggezza biblica infatti non è concepibile che il rapporto con Dio abbia un colore e quello tra noi un altro. Ci hanno provato, nel tempo, a distinguere e alterare queste due strade. C’erano anche riusciti. Finché poi non è arrivato il ciclone Gesù che ha riportato alla purezza dell’origine il progetto della creazione.

Ma non è su questo che voglio fermarmi oggi. E anche se nella tradizione biblica queste parole sono scritte sulla pietra dalla mano di Dio, la riflessione che vorrei condividere con voi va al di là di ogni dimensione o appartenenza religiosa. Anche perché soltanto le prime tre parlano del rapporto con Lui. Tutte le altre, sette su dieci, definiscono le relazioni tra gli uomini.

 

La prima di queste sette così suona: Da’ peso a tuo padre e a tua madre.[1] Nelle nostre traduzioni ormai mettiamo la parola onora davanti a tuo padre e tua madre. Ma è una traduzione che impoverisce. L’ebraico cabèd è un verbo molto ricco: indica il peso, sia in senso fisico che nel suo significato più profondo: è il peso che esprime onore, stima, apprezzamento, dignità, prestigio, rispetto. Grandezza.

 

Due aspetti osserviamo in questo testo antico.

Il primo è proprio la parola peso. Usata per definire e guidare la relazione con i genitori. È sottolineato il peso che ognuno di noi ha bisogno di riconoscere loro quando li guardiamo. Perché sono loro che ci hanno plasmato. È attraverso loro che abbiamo avuto inizio e preso forma. Loro ci hanno ‘pensato’. Hanno costruito una casa nella loro mente. E da quando hanno sentito la nostra prima risposta non hanno più smesso di seguirci. Si sono presi cura di noi. Per come sapevano e per come potevano. Con tutte le loro forze. Accompagnate, naturalmente, da tutti i loro limiti.

 

L’altro aspetto che osserviamo è l’unione tra il padre e la madre. L’uno e l’altra posti sullo stesso piano. Quasi tremila anni fa. Quando i figli erano figli del padre. E la madre un puro contenitore del seme maschile. Necessario perché potesse crescere e svilupparsi. Ma niente più che un semplice contenitore. Sconosciuto era il suo apporto biologico. Misconosciuto il suo apporto affettivo. Era al padre che si doveva rispetto. Era dal padre che si ereditava il nome. Al punto che il diritto a vivere, dopo la nascita, era acquisito soltanto dopo il riconoscimento paterno. Al punto, anche, che una donna che non fosse stata ‘capace’ di dare un figlio al marito poteva essere ripudiata e sostituita. Senza troppi complimenti.

In questo testo il padre e la madre sono posti sul medesimo piano. C’è una congiunzione che li unisce. La lettera ו (waw). Che noi traduciamo semplicemente con e, ma che nell’alfabeto ebraico ha un grande significato: è la lettera che congiunge una cosa con l’altra, una dimensione con l’altra, una realtà con l’altra. È la lettera che, nella prima pagina della Bibbia, congiunge il cielo e la terra. È questa stessa lettera che qui congiunge il padre e la madre. Non c’è subordinazione. Proprio come nel mito delle origini non c’è subordinazione tra il cielo e la terra, ma solo congiunzione.

 

Dove ci porta tutto questo?

Eccoci. Il primo punto. Quante lamentele guidano il rapporto con i nostri genitori... Da bambini ci fidiamo. Ci af-fidiamo a loro. Da adolescenti li contestiamo. Da adulti li recriminiamo. Presentiamo loro il conto – che, dal nostro punto di vista, ha la loro parte sempre in rosso. Noi ci riteniamo in credito: non ci hanno capiti, non ci hanno seguiti, non ci hanno ascoltati, hanno deciso per noi. E oggi: non sono mai disponibili, sono stanchi, hanno da fare, non capiscono la fatica che facciamo con i figli piccoli...

Il secondo punto. Oggi i conti più aperti sono con la madre. La sua colonna è piena di segni rossi. Sembra che abbiamo invertito i ruoli. Oggi i figli sono della madre. È lei che se ne deve prendere cura. È lei che deve fare il doppio e il triplo lavoro: una professione, la casalinga e il genitore-tutto-fare. Eppure lo sappiamo: genitori sono una madre e un padre. Non vi sembra giunto il tempo di rimettere quella ‘e’ tra l’uno e l’altra? Superando ogni subordinazione e recuperando la congiunzione. Nei compiti e nella responsabilità?

Da’ peso a tuo padre e a tua madre.

 

[1] Esodo 20,12; Deuteronomio 5,16