VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

5 nov 2017

Un padre violenta la figlia bambina: niente carcere, il reato è prescritto

La legge è uguale per tutti

Così è scritto in tutti i templi della giustizia: la legge è uguale per tutti. Ma... ma non tutti sono uguali per la legge.

Un padre aveva una figlia. La chiamiamo Anna. Quando lei ha otto anni i genitori si separano e, come tutti i bravi padri, anche lui tiene con sé la bambina nei fine settimana di sua competenza. Passa del tempo con lei. Ci gioca. Ma i suoi giochi non sono quelli di una bambina di otto anni: i giochi sono di quelli che un adulto, malato e criminale, ama fare con un bambino. Così inizia il calvario per Anna, diventata per suo padre un oggetto sessuale. E continua, con l’imposizione di non parlarne con nessuno, per ben otto anni. Poi, dal momento che quest’uomo, poco più che quarantenne, ama giocare con i suoi compagni del bar, pensa bene di condividere con loro anche questo nuovo giochino che si è costruito: sua figlia. E l’incubo di Anna continua. E cresce a dismisura. Oggetto sessuale. Di uomini. Pervertiti e impotenti.

Anna non può parlare con nessuno. Le minacce del padre sono potenti per una bambina. E s’innestano sulla naturale vergogna che ogni bambino sente di fronte a queste esperienze, e che porta solo una grande, immensa confusione nella sua mente.

Solo da grande Anna riesce a dare la parola a tanto dolore, così grande da apparire incredibile. Ne parla con il fidanzato, poi in famiglia, con la madre, con i fratelli. E ora, non più sola, trova la forza di denunciare quell’uomo. Suo padre.

 

Al processo di primo grado i giudici lo condannano a 10 anni di carcere. Non sarà questo a cancellare il dramma di Anna, ma almeno un riconoscimento, sia pure tardivo, le torna come segno di solidarietà e di condivisione.

Ma qui un lampo di genio si sprigiona nel cielo della giustizia. Il 9 giugno la Corte di Cassazione, a sezioni riunite, intervenendo su un caso di violenza sessuale nei confronti di altri minorenni, annulla l’allungamento dei termini di prescrizione previsto come aggravanti ad effetto speciale normalmente collegate a reati di violenza sessuale su minori di 14 anni. Così i tempi della prescrizione si accorciano.

Era il 1995 quando iniziava il calvario di Anna. Ma vent’anni per la giustizia sono troppi. Così la Corte d’Appello di Venezia, proprio questi giorni, ha dovuto decretare il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Conclusione: quest’uomo non è più punibile. È libero.

 

La legge è uguale per tutti. Ma non tutti sono uguali per la legge. Il diritto di quest’uomo è salvo: il suo reato è prescritto. Ma il suo dovere di risarcire la società del delitto che ha commesso verso una bambina – che, per di più, è sua figlia? E il diritto di Anna ad avere giustizia? Mah, quisquiglie. Per la legge Anna si doveva... svegliare prima!

 

Due riflessioni.

La prima. In altro contesto, solo due settimane fa, ci dicevamo di quanto sia rischioso e inaccettabile mettere la legge prima dell’uomo e ritenere che sia la persona a dover essere sacrificata alle regole.[1] E non le regole a dover considerare e rispettare la complessità e i bisogni dell’essere umano. Qui abbiamo un bell’esempio di come le regole, quando le facciamo prevalere sull’uomo, diventino sorde e cieche. Di come sia facile scappatoia rifugiarsi dietro la legge è così e non voler guardare dove e come stanno le persone.

E qui mi raggiunge una domanda cattiva: ma i giudici della Cassazione sono uomini, con un cuore e un cervello connessi tra loro, o sotto le toghe si nasconde un computer che esegue passivamente i programmi che vi sono stati installati?

 

La seconda riflessione. Altrettanto triste. Anzi, a mio parere, ancora di più.

La storia di Anna e di suo padre è stata sulle pagine dei giornali sì e no un paio di giorni. La maggior parte di voi non l’avrà neanche sentita. Un’altra vicenda, l’estradizione dal Brasile di un condannato all’ergastolo, sono mesi e mesi che riempie i giornali e i notiziari tv. Certo, è giusto che lo Stato italiano faccia sentire la sua voce di fronte ad un atteggiamento come minimo ‘poco comprensibile’ da parte delle autorità di quel paese. Anche questa è una questione di giustizia.

Ma la domanda diventa: tanto clamore per Battisti e tanto silenzio per Anna non sembrano a voi il frequente, assai frequente, due pesi e due misure? Non è un po’ come dire che il dolore, lacerante e inestinguibile, di una bambina, oggi donna, è assai poca cosa di fronte al dovere di far espiare la giusta pena a un famoso condannato per omicidio?

 

Restiamo svegli, per favore!

 

[1] La mente e l'anima, Vol. 5, pag. 124