VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

15 ott 2017

Tradizioni e religione, solito nascondiglio per i maschi

Donne al volante...

Partiamo da una buona notizia. Arabia Saudita, 26 settembre: Saudi women can drive. Così scrivono i principali giornali arabi. In Arabia Saudita d’ora in poi le donne potranno guidare. Non subito, dal giugno prossimo. È una rivoluzione storica. Con ricadute sulla vita sociale, sul costume, perfino sull’economia. Pensiamo, solo un esempio, che attualmente ci sono 800mila autisti che fanno il lavoro di trasportare le donne quando devono muoversi – naturalmente con il visto del loro ‘guardiano’. Era iniziata nel 1991 la battaglia: dopo 26 anni si vede un inizio di cambiamento. Perché la donna non poteva guidare? Ma, è ovvio: perché la guida danneggia le ovaie; poi perché lasciare le donne libere di muoversi in città distruggerebbe le basi della famiglia e della moralità; ma soprattutto perché, così ha spiegato di recente lo sceicco Saad al Hajri, le donne hanno ¼ di cervello meno degli uomini.

 

Queste sono amenità, direte. E ci fanno sorridere. Ma continuo a chiedermi perché gli uomini (maschi) hanno ancora e sempre bisogno, per sostenere tanta discriminazione, di nascondersi dietro la religione: alle donne sarà permesso guidare, ma soltanto in accordo con la sharia. Àbbiano almeno il coraggio di dire che non sono capaci di reggere il confronto con le donne, che vogliono continuare a dominarle e possederle. Piuttosto che nascondersi dietro presunti precetti religiosi. Farebbero più bella figura. Potrebbero magari accorgersi che, se pure il loro calendario segna il 1439, siamo tutti nel XXI secolo.[1]

I-am-my-own-guardian (io sono il guardiano di me stessa) dice oggi la voce delle donne. Che potranno pure guidare, ma ancora con il guardiano accanto (marito, fratello o figlio). Ce la faranno? Ci auguriamo che il progetto governativo Visione 2030 possa davvero andare avanti. È una goccia. Ma se è vero che la pioggia comincia con una goccia... coltiviamo la speranza.

 

E qui arriva, a sostegno della tanta strada ancora da fare, un’altra notizia. Niente di buono stavolta. Siamo in India. Lo stesso giorno, 26 settembre, l’inglese The Guardian c’informa che Mahmood Farooqui, 39enne regista indiano, condannato a 7 anni di reclusione nel 2016 per stupro e molestie nei confronti di una studentessa americana a Delhi, viene assolto in appello perché la ragazza avrebbe opposto un feeble no (un debole no) alle molestie dell’uomo. Facendo propria la tesi dell’avvocato, di «come sia difficile comprendere la mente delle donne, per cui in alcuni casi sappiamo che a feeble no may mean yes (un no debole può significare sì)», l’uomo è stato assolto.

Come ragionamento non fa una piega, non vi pare?

Solo che sembra un procedere a gambero. Quattro anni fa l’India aveva avuto un moto di ribellione contro le violenze e le frequentissime molestie sessuali per le strade da parte degli uomini sulle donne. Il tutto era avvenuto a seguito dell’ennesimo caso di stupro collettivo nei confronti di una ragazza, chiamata Nirbhaya, che dopo la violenza era stata gettata sulla strada dall’autobus ancora in corsa. Era il 16 dicembre 2012.[2]

E ora rientra dalla finestra quanto cercavano di far uscire dalla porta. L’uomo (maschio) ha (quasi) sempre ragione.

Adesso torniamo in Italia. Siamo così sicuri di essere immuni, noi, da stereotipi e pregiudizi sessisti?

Non è così lontana dai nostri giorni la famosa sentenza della Cassazione che, di fronte ad una condanna in secondo grado di un imputato di violenza carnale, l’aveva annullata con rinvio, per carenza di motivazione, perché la ragazza... indossava i jeans. Quindi doveva «rilevarsi che è un dato di comune esperienza che è quasi impossibile sfilare anche in parte i jeans di una persona senza la sua fattiva collaborazione, poiché trattasi di una operazione che è già assai difficoltosa per chi li indossa».[3] Quindi era ovvio (!) che la ragazza non si era opposta con tutte le sue forze. Non è proprio come la motivazione della corte indiana, ma le andiamo vicino. Poi, grazie a dio, la Cassazione ha emesso altre sentenze che hanno permesso di superare tanta... originalità (= stupidità). E tanto maschilismo.

 

Quanta fatica facciamo ancora ad accorgerci come l’umanità abbia bisogno di oltrepassare questa atavica presunta supremazia del maschio sulla femmina. Mi chiedo che fine abbia fatto quella saggezza che aveva portato i nostri padri, quasi 3mila anni fa, a cogliere nell’uomo-e-donna l’immagine del Creatore. Non nell’uomo solo. Non nella donna sola. Sono stati capaci di comprendere, e di lasciarcelo scritto, come «Dio creò l’essere umano a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio-e-femmina lo creò».[4]

 

 

[1] L’Islam inizia il conteggio degli anni dal 622, anno dell’Egira (emigrazione/fuga del Profeta verso Medina)

[2] La mente e l’anima, Vol. 3, pag. 21

[3] Sentenza 6 novembre 1998 n. 1636

[4] Genesi 1,27