VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

24 dic 2017

Il frastuono delle feste e la voce di un bambino

Buon Natale!

Gesù, anche quest’anno provo a condividere con te qualcuno dei miei tanti pensieri. Magari così riesco anche a lasciarli andare. Perché, devo riconoscerlo, sono proprio tanti. Per questo mi chiedo subito se anch’io non sia immerso nei tanti suoni e nelle tante luci che poi in me, da bravo piccolo-intellettuale, diventano pensieri. Con il pericolo che il tanto – luci, suoni, pensieri – m’impedisca di sentire la tua voce. La voce di un bambino che nasce.

Un vecchio amico, maestro di ostetricia, F. Leboyer, che solo sette mesi fa ha concluso questa fase della vita, a 99 anni, insegnava ai suoi colleghi, medici e ostetriche, quanto sia importante per un bambino che esce dalla quiete dell’utero che non venga aggredito dalle tante luci di una sala parto e dai tanti rumori di voci agitate intorno a lui.

Quando sei nato tu non credo ci fossero tante persone, meno ancora tante luci ad accoglierti. Tuo padre Giuseppe certo, che, con l’ansia di chi deve solo aspettare e non può far niente per aiutare la sua donna che sta partorendo, sarà stato tutt’orecchi per sentire la tua voce. Che, finalmente, avrebbe dato sollievo alla voce di dolore e di fatica della tua mamma: com’è per ogni donna che partecipa alla nascita di suo figlio. Poi lei, Maria, libera come te dalle tante manovre che nei nostri ospedali accompagnano la nascita di un bambino, finalmente poteva riposare dopo la fatica e il dolore, condivisi, tu per nascere, lei per partorire. E subito, di nuovo, vicini, con te attaccato al suo seno. In compagnia di Giuseppe, di sicuro il più agitato ancora: anche se libero ormai di respirare dopo essere stato con il fiato sospeso nell’attesa di sentirti.

 

Intorno alla tua nascita, in questi duemila anni, abbiamo costruito tante cornici. Tanti quadri. Tante tradizioni. Tanti miti. Al punto che neppure una nascita normale ti abbiamo lasciato. Neppure un concepimento normale. Neppure un’infanzia e un’adolescenza. Anch’esse normali. Ti abbiamo reso, nel tempo, un super eroe. E sai perché? Secondo me perché è troppo sconvolgente per noi il pensiero che un Dio possa nascere come un Uomo. Come un qualsiasi altro essere umano: tra fatica, pianto, sangue, agitazione, ansia, preoccupazione. Per la vita stessa, tua e di tua madre. Tanto era frequente, allora, che accanto alla nascita, nella stessa stanza potesse entrare anche la morte.

 

È qui il punto, credo. Che un Dio possa nascere Uomo. Impensabile. Inconcepibile. Per la nostra mente addirittura fuori da ogni logica.

Lo sai, da sempre nelle nostre storie e nei nostri miti, vedevamo dèi che si rendevano presenti nella vita degli umani. E questo potevamo accettarlo. In fondo loro erano molto simili a noi. Immortali, sì, ma con tutti i nostri limiti e i nostri difetti. Irosi, inquieti e subdoli tra gelosie e invidie in certe trame che si giocavano l’uno contro l’altro. Mettendoci di mezzo, quasi sempre, qualcuno di noi. Poveri e comuni mortali. Vittime dei loro giochi e delle loro meschinità.

Con te, invece, no. Un Dio-Padre-e-Madre che decide di entrare nella storia come un uomo, con tutta la forza e il limite dell’umano; un Dio che costruisce questo progetto solo come atto d’amore per la sua creatura. Questo no. Non faceva parte della nostra esperienza. Greci o Romani, Popoli dell’Oriente o Nativi d’America – di cui ai tuoi tempi non immaginavate neppure l’esistenza – mai avremmo potuto immaginare un Dio così. Mai avremmo potuto pensare Dio uguale Amore. Dio, comunque si chiamasse, unico o in compagnia di altri dèi, era sempre e solo da temere, da tener buono: non si sa mai...

 

Ora, però, sono duemila anni che ti conosciamo. Che conosciamo la tua storia – anche se inquinata dalle tante sovrastrutture che vi abbiamo appiccicato. Eppure ci è ancora così difficile vederti e accoglierti. Pensa, è troppo sconvolgente per noi prenderti anche solo come maestro. Come il Maestro. Figuriamoci sentirti come Dio-con-noi.

No, Gesù, non ce la facciamo. Se tu non ci dài una mano, noi continueremo a coprirci con i nostri rumori e a nasconderci dentro di essi. Oggi, lo sai bene, abbiamo risorse straordinarie e sempre più sofisticate per fare questo. Pensa solo al rumore di una connessione perenne cui ci siamo sottoposti e di cui non sappiamo più fare a meno neanche per un’ora delle nostre giornate. Perfino di notte: il nostro letto è circondato da telefoni, telefonini, tablet, computer, televisori. Non sia mai che restiamo... disconnessi.

 

Come facciamo, in tanto frastuono, a sentire la tua voce?

Non ti chiedo certo di alzarne il tono: i nostri orecchi non reggerebbero. Sai una cosa? E se ogni tanto ci mandassi in tilt il wi-fi, o scaricassi le batterie degli smartphone, o togliessi la corrente ai pc e ai televisori? Pensa che pace.

Ma mi sa che non lo farai. Ci conosci troppo bene: saremmo assaliti dal panico.

E se invece questo silenzio ci aiutasse a sentire la tua voce, che poi s’intonerebbe così bene con la voce della nostra anima?

Pensaci, Gesù. Ci pensiamo anche noi. Buon Natale!