VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

3 set 2017

Tra biocapacità e impronta ecologica

2 agosto: siamo arrivati!

Sì, il 2 agosto è passato. Ed è passato nel silenzio. Perché la natura non fa rumore come lo fanno i terroristi o i missili di Pyongyang. Così non ce ne siamo neppure accorti: il 2 agosto abbiamo esaurito tutte le risorse che la terra ci aveva messo a disposizione per quest’anno. E dobbiamo arrivare al 31 dicembre. Cinque mesi con la dispensa vuota. E non c’è negozio o supermercato dove fare rifornimento. Allora?

Allora abbiamo due scelte. Morire di fame e di sete – salvo quei pochi che riuscirebbero a sopravvivere cinque mesi senza mangiare, senza bere né respirare – o andare a rubare. Dove? Ma, semplice: nelle riserve dell’anno prossimo. Sì, ma poi? Il 2018? Ma, chi vivrà vedrà...

Vi sembra un po’ cretino questo ragionamento? A bocce ferme, forse sì. Ma a giochi aperti direi proprio di no. No, nel senso che non ci sembra cretino dal momento che non solo così ragioniamo, ma così ci comportiamo: nei prossimi mesi andiamo a rubare le riserve che la terra ha in serbo per i suoi abitanti per l’anno prossimo.

In fondo, a pensarci bene, qualcuno – forse più di qualcuno – così si comporta anche nella sua piccola e spicciola economia domestica. Pur di avere una cosa cui teniamo tanto (un telefonino, un televisore, un’auto), non ipotechiamo lo stipendio di qualche mese o addirittura di qualche anno? Magari provando ad arrangiarci con un doppio lavoro...

Il problema è che la terra, questa nostra GRANDE MADRE, un doppio lavoro non lo può fare: ha così tanti figli da mantenere!

Volete sapere una cosa poi? In due anni abbiamo guadagnato – cioè perso – undici giorni. Noi ne parlammo nel 2015: il giorno dell’esaurimento (jour du dépassement, overshoot day) l’avevamo raggiunto il 13 agosto.[1] Pensate, nel 1971, quando eravamo poco più della metà dei 7miliardi e mezzo che oggi abitiamo il nostro pianeta, avevamo iniziato a mettere mano alle riserve dell’anno successivo il 21 dicembre. Dieci giorni, di fronte ai cinque mesi di oggi. In soli quarantasei anni.

 

Un giornale francese, Liberation, il 2 agosto così ha iniziato il suo servizio: nel tempo che impiegate a leggere qualche parola, 287 passeggeri si sono imbarcati su un aereo, più di 1milione di Kg di CO2 sono stati immessi nell’atmosfera, abbiamo gettato via più di 41mila Kg di cibo, abbiamo mangiato 10mila Kg di carne, e pescato 4.900 Kg di pesce.

 

Gli esperti usano due parole. Che dovremmo imparare. Bene. Biocapacità e impronta ecologica. Cosa significano?

La biocapacità indica la capacità del pianeta di rinnovare le sue risorse e d’assorbire i rifiuti. L’impronta ecologica è la richiesta dell’umanità: cibo, aria, acqua, boschi, foreste, petrolio, terre fertili da una parte, e quantità di rifiuti che immettiamo in circolo, nell’atmosfera, nei mari o nella terra stessa. Il giorno dell’esaurimento è il giorno in cui l’impronta ecologica oltrepassa la biocapacità: da questo giorno siamo in deficit ecologico.

Cosa fare? Secondo gli esperti, ridurre della metà gli sprechi alimentari ci farebbe guadagnare undici giorni in un anno, mentre abbattere del 50% le emissioni di anidride carbonica sposterebbe la data di novanta. Teniamo ben presente, aggiungono, che guadagnare cinque giorni ogni anno è indispensabile per tornare in equilibrio prima del 2050.

 

Cosa possiamo fare noi? Sul piano globale, ciascuno di noi può fare ben poco. Sono i governi e gli organismi sovranazionali che devono rivedere la politica energetica. Su questo piano, comunque, qualcosa dipende anche da noi: in fondo non siamo noi cittadini che scegliamo gli uomini da cui ci facciamo governare? Occhi aperti, dunque.

Su un piano operativo, nel nostro quotidiano, non dimentichiamo che ciascuno di noi è come una goccia. Poco, nel grande mare. Ma lui stesso non è che tante, tantissime gocce messe insieme. Allora guardiamo attentamente gli sprechi di ogni giorno. Cibo, acqua, riscaldamento, aria condizionata, uso dell’auto... sono tanti aspetti che, disattenti, rischiamo di non guardare più. Tanta è l’abitudine ad averne senza misura.

Ricordiamoci due pensieri, oggi, che c’eravamo detti già due anni fa.

Il primo: la terra non ha bisogno di noi. Siamo noi ad aver bisogno di lei e delle sue risorse. Se la specie umana dovesse estinguersi, la terra continuerebbe il suo viaggio nella vita – magari meglio!?

Il secondo: questa terra, questa nostra casa, non ce l’hanno lasciata in eredità i nostri padri. Sono i nostri figli che ce la dànno in affitto. Come sarà quando gliela lasceremo? Di sicuro ci chiederanno come ce ne siamo presi cura. Sarà ancora abitabile o in condizioni... pietose?

 

Oggi riprendiamo i nostri incontri settimanali. Ci auguriamo una buona ripresa. Tutti!

 

[1] La mente e l'anima, Vol. 4, pag. 100