VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

7 feb 2016

In margine alla visita del presidente iraniano in Italia

Venere, Dioniso e... la religione

L’attenzione per la sensibilità dell’altro è senza dubbio un segno di rispetto. E di civiltà. È anche messaggio di dialogo. Parole, gesti, comportamenti, anche senza che lo vogliamo, possono a volte mettere a disagio il nostro interlocutore. E quando riusciamo a evitare di porre in atto certi gesti significa che siamo capaci perfino di rinunciare a qualcosa di nostro pur di far sentire a suo agio l’altro.

Questi giorni ci siamo trovati davanti a una strana situazione. È venuto in Italia il Presidente iraniano Rouhani e per la sua visita ai musei capitolini alcune statue ‘nude’ sono state coperte per non offendere la sua sensibilità. Così è stato detto. E così i giornali hanno scritto. I giornali di tutto il mondo.

Sensibilità. La psicologia ci dice che è una proprietà dell’individuo. Perfino degli animali diciamo che sono sensibili. Alcuni più, altri meno. Alcuni in un modo, altri in un altro. E degli uomini?

 

Certo, il rispetto per la sensibilità di un uomo è grande cosa. Ma qualche domanda non possiamo non farcela di fronte a tanta... sensibilità.

Perché appare strano che la sensibilità sia (quasi) sempre legata alla sola sessualità. E questa (quasi) sempre legata alla religione. Così infatti sembra, se vogliamo guardare con un po’ d’attenzione a ciò che è successo.

È difficile pensare, in realtà, che un uomo di 68 anni, in pieno XXI secolo, possa turbarsi davanti a una statua di marmo, sia pure in tutta la sua nudità. Incomprensibile appare alla nostra sensibilità perfino quanto fece Daniele da Volterra quando ‘rivestì’ i corpi del Giudizio Universale della Sistina, che Michelangelo aveva rappresentato al naturale. Ma allora eravamo nel Cinquecento. Cinque secoli fa. In piena controriforma. E agli uomini di allora lo possiamo... concedere.

Ma, al di là delle valutazioni dei tempi e delle epoche storiche, sulle quali possiamo anche non essere d’accordo, appare impensabile che un uomo possa turbarsi di fronte a una statua nuda e non essere a disagio di fronte alle forche con le quali nel suo Paese uomini e donne vengono regolarmente messi a morte.

 

Impensabile. E inaccettabile. Tanto più quando la decenza o l’indecenza di certi fatti o di certi atteggiamenti sono giustificate in nome di una religione. In questi ultimi nostri incontri più volte ci siamo fermati a riflettere sull’uso – meglio diremmo sull’abuso – della religione. Qualunque essa sia.

Quale Dio, creatore della Vita, potrebbe definire indecente la rappresentazione del corpo umano che egli stesso ha ‘costruito’ e modellato nel corso di milioni di anni, e accettare senza battere ciglio che degli uomini mandino a morte altri uomini? Giusto una divinità che ci costruiamo noi, a nostro piacimento. Non certo il Dio-creatore-della-Vita. Padre-e-Madre di tutti i viventi.

 

Né, credo, possa accettare che metà delle sue creature si ritengano padroni dell’altra metà. La donna che non può uscire di casa senza il permesso di un uomo, o che non può vestire come il resto del mondo, perché i suoi uomini la vogliono incappucciata dalla testa ai piedi... E ancora in nome di una religione. È questo forse il desiderio di Dio? Non sarà ancora una volta che noi uomini (maschi) ce lo facciamo a nostra immagine e somiglianza: maschio anche Lui che, per solidarietà di genere, ha deciso che l’uomo sia padrone della donna?

 

Quanto la fai lunga, qualcuno mi dirà. È acqua passata. Nessuno parla più ormai di questo incidente che ha colorito la visita di Rouhani in Italia. Beh, ci mancherebbe altro che continuassimo a parlarne. Ne abbiamo ben altri di temi sui quali ragionare e confrontarci: pensate al tema delle unioni civili, alle domande sul testamento biologico...

Sì, è vero, l’ho fatta lunga. Ma la ragione non è poi così difficile da comprendere: è che noi rischiamo di far passare tutto, di farci scorrere addosso tutto, senza fermarci, un momento, a riflettere. Come possiamo accettare che in tante parti del mondo si continui a mandare a morte delle persone in nome della legge, e a giustificare questa in nome di una religione? Come possiamo accettare che in alcuni paesi la donna debba vivere sotto la tutela (= sotto il potere) degli uomini? E anche questo in nome della stessa legge? E della medesima religione?

 

’Sta volta sono, accanto all’uomo, lo psicologo che è in me e il credente, che pure l’accompagna, ad aprirmi questi pensieri. Non mi piace che in nome di una religione – qualunque essa sia – si continui ad uccidere. Né mi piace che, sempre rifugiati sotto il nome di un dio, continuiamo a non riconoscere agli uomini e alle donne la medesima dignità di persone. E, per chi può chiamare la Vita con il nome di Dio, la medesima dignità di figlie-e-figli di Dio.