VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

25 set 2016

Ancora cronache di violenze sulle donne

Se l’è cercata!

Sì, l’originale e intelligente commento di diverse persone – non solo uomini, ma anche donne – è stato proprio questo: se l’è cercata! Di chi sto parlando? Di una ragazzina di 15 anni, vittima da due delle violenze di un branco di maschi poco più grandi di lei, in un paesino della Calabria. Di Tiziana, una giovane trentenne costretta al suicidio perché condannata alla gogna sulle nuove piazze di questo nostro mondo digitale. Di quella ragazza di 17 anni che in una discoteca di Rimini, mentre viene violentata, è ripresa da alcune ‘amiche’ che poi fanno girare il filmato su WhatsApp.

Gli uomini del medioevo – tempo, ai nostri occhi, oscurantista e retrogrado – ti esponevano sulla piazza perché tutti vedessero e tu potessi così espiare, con la vergogna, il male che avevi commesso o il torto che avevi fatto al signore di turno. Magari ti ci tenevano qualche giorno. Poi te ne tornavi, libero, e un po’ vergognoso, alla vita normale. Noi oggi, civili e colti nonché altamente tecnologizzati, una volta che ti mettiamo alla gogna, ci resterai per sempre. E sempre vuol dire sempre. Non ci sarà intervento di polizia o sentenza di giudice in grado di eliminare dalle nuove piazze tecnologiche la tua immagine-vergogna. Piazza FaceBook, Piazza YouTube, Piazza WhatsApp... le nostre piazze. Con la sola strada per entrare. E nessuna per uscire.

Così è successo a Tiziana. Così è successo e succederà ancora a tanti nostri bambini o ragazzi che gli amici o le amiche di turno filmano con i loro onnipresenti telefonini – nuove protesi dell’io tecnologico – poi postano (= espongono) sulle nuove piazze in modo che tutti vedano. È la nuova forma in cui si esprime la meschinità, che chiamerei piuttosto vigliaccheria, dei cosiddetti ‘amici’.

 

Ma torniamo alla nostra ragazzina, vittima del branco e vittima, sembra, dell’assenza degli adulti. Genitori e insegnanti. Due anni ci sono voluti perché questa terribile situazione venisse alla luce. Mostri, noi diremo. Mostri quelli del branco. Mostri gli adulti che non hanno voluto vedere. Sì, usiamola pure questa parola, ma dove ci porta? Il mio timore è che essa ci porti solo a salvare la nostra faccia: loro i mostri, noi quelli per bene. Come sempre. Poi, però? Il rischio è che ogni volta che noi ci chiamiamo fuori, e noi siamo a posto, tutto rimane come prima.

 

Proviamo a farci qualche domanda?

 

La prima. Questi ragazzi-mostri che per due anni approfittano di una ragazzina di tredici, minacciandola di postare sui social i video che la ritraggono in quei momenti se lei li denuncia, da dove vengono? Non da Marte. Né da un altro pianeta. Sono i figli delle nostre famiglie. Educati secondo i modelli di comportamento che ancora sostanzialmente condividiamo. Non continuiamo, in fondo, a pensare che l’uomo è cacciatore e la donna è la preda? Non continuiamo a crescere le nostre figlie e i nostri figli secondo due morali, e valutare i loro comportamenti con due pesi e due misure? Che rapporti continuiamo ad alimentare tra uomini e donne, in casa, nel lavoro, nelle scuole?

 

La seconda domanda. Possibile che non abbiamo ancora imparato che nelle piazze dei social c’è solo una strada, quella che ti fa entrare, ma non c’è la strada per uscire?

Si racconta che un giorno una donna, solita a sparlare degli altri, va a confessarsi da San Filippo Neri. Dopo averla ascoltata, le dà questa penitenza: “Vai a casa, spenna una gallina, e spargi le piume per tutta la città. Poi torna da me”. La donna fa come lui le ha detto. Quando torna, Filippo le dice: “Ora va’ e raccogli tutte le piume che hai sparso”. “Ma è impossibile”, risponde lei. “È così ciò che fai con le tue chiacchiere. Non è possibile rimediare al male che è stato fatto”.

La piume di quella gallina si saranno sparse per qualche stradina della Roma del ’500. Le piume che spargiamo su FaceBook e simili girano per tutto il pianeta! Va’ a raccoglierle...

 

Una terza riflessione. Ancora più preoccupante. Il solito pensiero maschilista (posso usare ancora questa parola?): se l’è cercata! Così, molto spesso, troppo spesso, diciamo di una donna, bambina o adulta, che subisce una violenza. Di qualunque genere. Se il marito o il fidanzato la picchia... lei l’ha provocato; se viene violentata da uno per strada... chi sa com’era vestita; se un branco di maschi violentano una ragazza... lei ci stava; ecc. ecc.

Non è un po’ troppo frequente questo modo di ragionare? Il grave, secondo me, è che così continuano a ragionare molti uomini. E non poche donne... Non sembra anche a voi?