VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

6 nov 2016

Da un documento dell’Unesco su Gerusalemme

Luoghi... sacri?

A tutti può capitare una gaffe. Non dovrebbe ad un organismo internazionale come l’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, Organismo Onu per Scienza, Educazione e Cultura). Salvo poi accorgerci che anche gli organismi internazionali non sono sempre super partes, perché anch’essi funzionano con i numeri: a passare non è la risoluzione ‘più giusta’, ma quella che riceve più voti. È elementare. Ma è così. Così infatti è successo alla recente dichiarazione dell’Unesco. Approvata da 24 paesi, respinta da 6, con la complicità di 26 astenuti (compresa l’Italia) e 2 assenti. Nel documento si parla di alcuni luoghi della città di Gerusalemme che sia gli ebrei sia i musulmani ritengono sacri. La gaffe sta nel fatto che i luoghi vengono indicati con il solo nome arabo: è ignorata del tutto la denominazione ebraica.

Non che io condivida la politica espansionistica di Israele. Né posso approvare le proteste, fatte con attentati, dei palestinesi. La pace non si costruisce né con i muri né con le armi. Ma neanche con documenti che offendono un popolo. Questo documento, infatti, è proprio sbagliato: sia dal punto di vista storico culturale – Gerusalemme ha un grande significato per gli ebrei, per i musulmani e per i cristiani – sia, ancor più, con il suo peso politico. Un territorio così carico di tensione non ha bisogno di ulteriori motivazioni per accendere gli animi.

 

Ma oggi ho preso questo documento per riflettere con voi sull’uso (abuso?) che facciamo di una parola: sacro. Tutte le religioni, come tutte le culture, anche quelle laiche, ne fanno uso: luoghi sacri (monumenti, chiese, moschee, sinagoghe, templi, cimiteri...), tempi sacri (anniversari, celebrazioni, ramadan, quaresima...), persone sacre (rabbini, imam, sacerdoti, pastori, grandi personaggi...), oggetti sacri.

Io credo che dovremmo farci qualche domanda se non vogliamo cadere in trappole pericolose.

Se ci sono luoghi sacri, non c’è il rischio che ci siano luoghi non-sacri? Se ci sono persone sacre, significa forse che ci sono persone non-sacre? E la presenza di tempi sacri nel calendario non ci porta a pensare che ci siano tempi non-sacri?

A me pare che abbiamo un grande bisogno di riscoprire che sacro è ogni momento della vita, perché sacra è la Vita stessa. Come sacra è ogni persona, perché ogni persona è figlia della Vita – che i credenti chiamano Dio. Figli-di-Dio significa essere Dio. Gesù di Nazareth, discutendo con certi giudei che volevano lapidarlo perché si faceva Figlio-di-Dio, disse, citando una pagina della Bibbia, “Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi?”.[1]

Quando creiamo luoghi sacri rischiamo di perdere la sacralità della terra. Del mondo. Dell’universo. Rischiamo di perdere la sacralità della natura. Degli animali, delle piante. Quando creiamo persone sacre, perdiamo la sacralità dell’uomo stesso. Di tutti gli uomini e le donne.

Perché solo quando, finalmente, nessuna persona è sacra, tutte le persone diventano sacre. Quando nessun tempo è sacro, tutti i giorni che la vita mi dà diventano sacri. Tutto il tempo, tutti gli incontri, tutti i lavori diventano sacri. Quando nessun luogo è sacro, tutti i luoghi lo diventano. Perché ogni luogo è Tempio della Vita. Tempio di Dio – con qualunque nome lo vogliamo chiamare.

 

Questi giorni le nostre tradizioni ci portano a visitare i cimiteri. A ricordare le persone che hanno concluso questa fase della vita nella quale noi siamo ancora inseriti. Il cimitero è un luogo sacro, noi diciamo. Ma sacro perché? Quel corpo, che è servito a mio padre o a mia madre o a quel mio amico, ora è lì, e si sta decomponendo. Non sono lì mio padre o mia madre. Essi sono nel mio pensiero. Nel mio cuore. In quel senso di gratitudine con cui ne conservo il ricordo. Nell’affetto che da loro ho ricevuto e che ci siamo scambiati. Essi sono nel dialogo interiore che provo a coltivare con loro in quei (rari!) momenti di silenzio che mi concedo nelle mie giornate. Se li ascolto, essi mi parlano della sacralità della Vita. Di come ogni momento, ogni luogo, ogni persona che incontro sono Vita.

«Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo» sono le parole che ricordava Gesù ai suoi interlocutori.[2] Io credo che i nostri morti, pieni di vita come sono, cercano in tutti i modi di ricordarlo a noi oggi. Magari abbiamo bisogno d’imparare ad ascoltarli: la loro voce è lieve e soffusa e arriva a noi percorrendo le strade del silenzio.

 

[1] Giovanni 10,34

[2] Salmo 82,6