VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

25 dic 2016

Per ritrovare un senso a questi giorni di festa

Buon Natale! (2)

No, Gesù, non te l’hanno perdonata.

Del resto come potevano fare? Avevi messo in crisi tutto il loro apparato. Ci si erano sistemati così bene. Il sinedrio. Scribi, farisei, sadducei, sacerdoti. Avversari e complici. A spese della povera gente: insignificante ai loro occhi. Tu ci avevi messi in guardia dal loro lievito. Ma non è bastato.

Come vedi, ti sto parlando dei tuoi contemporanei. Quando so bene che dovrei parlarti di noi, perché, onestamente, dobbiamo riconoscere che nonostante i duemila anni in cui le tue parole continuano a risuonare nel mondo, non è che siamo messi tanto meglio.

 

Il problema, che ci portiamo dietro ancora oggi, è che la tua presenza tra noi e la tua storia sono state inserite in quel vecchio pensiero di un Dio che doveva essere placato: offeso dalle colpe dell’umanità, infedele agli impegni presi e ingrata di fronte ai suoi tanti doni, aspettava di essere risarcito.

È un pensiero vecchio questo. Un pensiero che non apparteneva solo al tuo popolo. Anche i greci, i romani, gli altri mille popoli, tutti, ciascuno con il proprio Dio o con i propri Dèi, dovevano sistemare i conti. Che erano sempre in rosso. Cosa vuoi? Di fronte alla divinità, noi umani siamo sempre piccola cosa. Così tutti dovevano offrirle sacrifici. Nella speranza che questa li gradisse e calmasse, almeno per un po’, la sua ira. Lo sai, certi popoli erano arrivati perfino a uccidere i propri figli, come sacrificio d’espiazione, nel tentativo di placare e ingraziarsi i loro Dèi.

Anche tra la tua gente, guidata dai sacerdoti e dagli scribi, era questo il pensiero dominante: nei confronti di Dio si doveva riparare. Così tu sei diventato l’agnello sacrificale, da offrire in riparazione di un’offesa gravissima fatta dall’umanità. Se certi popoli pagani erano arrivati ad uccidere i propri figli per i loro Dèi, quale vittima d’espiazione sarebbe stata più grande di quella del Figlio-di-Dio?

Povero Gesù! Tutta la fatica che hai fatto per restituirci l’immagine autentica di Dio, ripulita dalle tante sovrastrutture che la offuscavano, sembra se ne sia andata chi sa dove. A me pare che in parte sia stata annacquata fin dalle origini, anche da qualche tuo discepolo ancora prigioniero della vecchia immagine di un Dio da placare. Perfino Paolo, il fervente fariseo di Tarso che non ti aveva conosciuto di persona ma al quale avevi dato un bel colpo in testa verso Damasco, ogni tanto si ritrovava in questo vecchio pensiero. E tu, invece che immagine vera e autentica di Dio, ritornavi ad essere la vittima sacrificale che, finalmente, sarebbe riuscita a risarcire il Dio offeso e lontano.

 

Caro Gesù, quanta fatica sprecata, mi verrebbe da dire.

Poi però, se mi fermo a guardare bene, devo riconoscere che forse non è così. Anzi, ne sono sicuro se ascolto quanto movimento c’è tra i tuoi discepoli, oggi. Da Francesco a tanti altri, anonimi, che cercano. E si lasciano cercare da te. Che cerchiamo e ci lasciamo cercare da te. Per ritrovare nelle tue parole e nel nostro cuore l’immagine autentica di Dio, padre-e-madre pieno solo d’amore per noi, figli suoi.

Troppe volte ancora la parola sacrificio risuona alle nostre orecchie. Nei nostri discorsi. Nelle nostre letture. Nelle preghiere. Perfino nell’insegnamento. Professori, moderni scribi, che continuano a rimuginare e rivangare intorno all’idea del sacrificio d’espiazione. E dimentichiamo che tu non l’hai usata questa parola, né ci portavi questo pensiero. Perfino quella sera di Pasqua, pochi giorni prima della tua cattura e della tua condanna, nello spezzare il pane e nell’offrirlo ai tuoi che erano con te, ne hai parlato come del tuo “corpo che è dato per voi”.[1]

Perché tutta la tua vita è stata un dono. E ci tenevi a sottolinearlo: sei venuto non per essere servito ma per servire, ci dicevi.[2] Come un medico che si prende cura e si mette a disposizione di chi è malato.[3]

Il fatto è che le tue parole e il tuo insegnamento, in altre parole la tua presenza non può lasciarci indifferenti. La settimana scorsa ti dicevo come in questi giorni di Natale sembra che ce la stiamo mettendo tutta per vivere nella confusione e non fermarci a pensare.

Che ti devo dire? Forse non è proprio così. Piuttosto sembra che la nostra vita cammini oscillando. Tra frastuono e confusione, e attimi di silenzio e di pace.

 

Noi questi giorni, incontrandoci, ci diciamo Buon Natale. Mi piace dirlo anche a te. Buon Natale, Gesù. Ben arrivato tra noi!

(2. fine)

(1. Natale... chi era costui?)

 

[1] Cfr. Luca 22,19

[2] Cfr. Marco 10,45

[3] Cfr. Marco 2,17