VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

20 dic 2015

Per non perderci tra risorse della tecnologia ed etica

Utero in affitto?

Noi rifiutiamo di considerare la maternità surrogata un atto di libertà o di amore. Così un gruppo di donne del movimento Se non ora quando si esprime a proposito della pratica dell’utero in affitto. Chiamata anche GDS (Gestazione di sostegno), o GPA (Gestazione per altri), o Maternità surrogata.

Noi ne abbiamo già parlato due anni fa (per approfondire: La Mente e l’anima, vol. 3°, pagg. 84-89, 114, 120 e 186). Lo riprendiamo oggi perché questi giorni il tema è ritornato sulle prime pagine dei giornali. Poi, non mi pare fuori luogo che proprio a Natale parliamo di bambini. Perché in primo luogo di bambini si tratta.

 

Proviamo a ricordarci in sintesi di cosa stiamo parlando. Se una coppia non può avere figli, fa impiantare un ovulo fecondato nell’utero di un’altra donna: questa ne porta avanti la gravidanza, poi al momento del parto il bambino che nasce è subito allontanato da lei e viene dato, come figlio, alla coppia che ne ha ‘ordinato’ la nascita. L’ovulo fecondato può essere della donna della coppia o di un’altra, così lo spermatozoo può essere del suo compagno o di un altro uomo. A questa pratica può ricorrere una coppia uomo-donna, o una coppia omoaffettiva, o anche un single. In Italia non è ammessa. Lo è in alcuni paesi: Canada, Stati Uniti, e in alcuni altri paesi dell’Europa e dell’Asia.

 

Qui si ripropone una domanda di fondo. Che si presenta ogni volta che andiamo a toccare la vita. In particolare la vita umana. La domanda è: ciò che si può fare dal punto di vista tecnologico si può sempre fare anche dal punto di vista etico? Questa è una domanda che non possiamo ignorare se vogliamo rispettare la vita. La vita umana. Non c’entrano qui le religioni. Queste possono certamente dire la loro. Ed è giusto che lo facciano. Ma il problema riguarda tutti. Anche coloro che non si riconoscono in una religione. Perché qui c’entra l’umanità.

 

Provo a spiegarmi.

Tre sono i soggetti coinvolti. La coppia (o il single) che non può fare figli, la donna che porta avanti la gravidanza, e il figlio che nasce. Può esserci anche una quarta persona: l’eventuale donatrice di ovuli o l’eventuale donatore di spermatozoi.

 

Per la coppia (o il single) che non può avere figli dobbiamo richiamare un pensiero che pure ci siamo già detti: avere un figlio non è un diritto. Nessuno, uomo o donna, etero o omoaffettivo, single o in coppia, ha diritto ad avere un figlio. Avere un figlio può essere un desiderio. Può essere un bisogno. Ma non è un diritto (per approfondire: La mente e l’anima, vol. 2°, pagg. 267-272).

 

La donna che porta avanti la gravidanza. Proviamo, qui, ad essere onesti. Di lei, in fondo, non ci importa (quasi) niente: a noi serve un utero che ospiti un ovulo e lo faccia crescere fino a diventare un bambino capace di vita autonoma. Tuttalpiù ci preoccupiamo della sua salute, ma solo in vista del buon esito della gravidanza. La paghiamo. Per un servizio. Magari l’andiamo a scegliere nel paese in cui costa di meno... poi chi s’è visto s’è visto. Il legame affettivo che inevitabilmente sviluppa con il bambino che cresce in lei non lo teniamo neppure in considerazione. Questa donna è un utero. Che funziona.

 

E il bambino? La coppia o il single che lo ‘ordinano’ lo fanno perché essi desiderano tanto un figlio. E con tanto amore. Nessun dubbio su questo. Ma una domanda dobbiamo farcela: siamo così sicuri che questo bambino è felice di dover abbandonare colei che gli è stata madre proprio nei suoi primi giorni e nei suoi primi mesi di vita? Oggi le neuroscienze ci dicono con grande chiarezza che tra la donna e il bambino, durante la gravidanza, si attiva una relazione reciproca profonda e intensa. Sia in senso biologico (in uno scambio continuo di segnali e di messaggi che favoriscono la buona salute di entrambi) sia in senso psico-affettivo (in un dialogo continuo fatto di emozioni, aspettative, pensieri, paure, desideri).

 

Riprenderemo questo tema. Ma oggi, per lasciarci, due domande.

La prima: siamo così sicuri che volere un figlio in questo modo sia un atto d’amore verso un bambino e non un atto d’amore egoistico per noi stessi, incapaci di accettare i nostri limiti naturali?

La seconda: Non sarà che, come uomini, ci stiamo ponendo di fronte alla vita con una pretesa di onnipotenza, come se ne fossimo i padroni assoluti, costi quel che costi? Forse è giunto il tempo di lasciar riposare antichi miti, Adamo, Eva... e guardarci bene negli occhi: non è questo, la pretesa di essere onnipotenti, il vero peccato originale? Cioè la radice e l’origine di ogni male?

 

Questi giorni di Natale proviamo a guardare gli occhi di un bambino. Vi vedremo scritto che lui non è nostro. Un bambino è un figlio della Vita.