VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

18 ott 2015

Indietro di oltre mezzo secolo

Quella ragazza lì

Non voglio che mia figlia stia con quella ragazza lì. Così dice una giovane mamma alle operatrici del nido presso il quale sta facendo l’inserimento della sua bambina di dieci mesi. E decide di non portarcela più. Quella ragazza lì è una giovane donna che lavora come assistente presso quel nido. Cos’ha quella ragazza lì di tanto terribile da essere vista come un pericolo per una bambina di dieci mesi? Presto detto: è affetta dalla sindrome di Down!

 

Così ragionavano più di mezzo secolo fa anche nella nostra civile Italia. Allora chi aveva una qualche disabilità, se la famiglia non era in grado di tenerlo in casa, dal momento che non c’era nessun sussidio e nessun’assistenza, veniva messo in un istituto. O addirittura in manicomio – che con parole eleganti veniva chiamato ospedale psichiatrico. Rinchiuso. Come fosse un soggetto pericoloso. Se poi ci azzardiamo a guardare appena appena un po’ più indietro, negli anni quaranta, incontriamo la vergogna del nazismo che, dato che i disabili erano un pericolo per la purezza della razza, aveva trovato la soluzione: ausmerzen. Eliminarli.

 

Non so che età abbia la mamma di quella bambina. Ma, vista l’età della figlia, possiamo pensare che quando lei è nata, già da tempo i bambini e i ragazzi Down frequentavano le scuole, erano inseriti nel lavoro e vivevano la vita di tutti.

Ciò che mi preoccupa, ora, non è tanto che una giovane donna possa ancora essere prigioniera di un pensiero tanto povero. E meschino. A lei auguro che la vita possa insegnarle ad aprire gli occhi e la mente e farle vedere che quella ragazza lì è un essere umano. Proprio come lei. E come la sua bambina. Con la sola differenza che per vivere in questo mondo quella ragazza lì dovrà faticare molto di più di quanto non dovranno fare loro. Le auguro anche che le faccia scoprire che per la sua bambina incontrare quella ragazza lì e condividerci i suoi primi mesi di vita sarebbe stata una grande opportunità. E una grande lezione di civiltà.

 

Ciò che mi preoccupa ora, invece, è che il tema della disabilità ci si presenta assai più grande. Da una parte dobbiamo riconoscere che di persone come quella mamma ce ne sono ancora tante, troppe, in giro. Di ogni età. E dall’altra non possiamo nasconderci dietro il dito e non vedere che il mondo della disabilità è l’ultimo ad essere visto anche dai nostri governanti.

 

Tante volte mi sento raccontare dai genitori dei bambini speciali che in qualunque posto essi vadano con il figlio, gli occhi di tutti si girano verso di lui, per poi tornare ai vicini e bisbigliare qualche commento. Al bar per un caffè, a scuola per accompagnarlo in classe, per strada a fare due passi. Dovunque uno sguardo indagatore e commiserevole accompagna loro e il loro bambino.

 

Il mondo della politica. I nostri Comuni stanno chiudendo i servizi per i disabili: non hanno più fondi. La Regione Marche ha ‘dimenticato’ i finanziamenti. Grande movimento in questo periodo da parte delle associazioni e delle famiglie. Qualche politico locale promette interessamento. Magari riusciremo anche a sbloccare la situazione. Lo speriamo. Ma questo non basta. Fondamentale, ma non basta.

Non basta, perché dobbiamo fermarci un momento. E farci una domanda: perché ogni volta che emerge una qualche difficoltà, il primo settore in cui si fanno tagli è quello della disabilità? Insegnanti specializzati sempre più ridotti di numero. Servizi educativi affidati a cooperative che lottano tra loro per aggiudicarsi l’incarico a suon di ribassi nei prezzi. E nella qualità. Con personale sottopagato. Con il solito rischio di un ricambio continuo: un educatore che si fa un po’ d’esperienza, appena gli si presenta un lavoro diverso e con una retribuzione decente, lascia per andarsene altrove. Comprensibile certo. Ma perché chi lavora in questo settore dev’essere sottopagato, lasciato solo, e normalmente privo di una formazione adeguata e continua? Perché non ci sono i fondi, dicono. Ma ci domandiamo mai perché i fondi in questo settore non ci sono?

È chiaro, mi direte, non ci sono i fondi perché questo settore non porta voti. Non produce ricchezza. Non promuove il mercato né la ripresa economica. Non fa crescere il PIL. Anzi. Chiede risorse e non dà reddito. Non è questa, in fondo, la ragione vera che fa lasciare la disabilità sempre in coda nei finanziamenti?

 

Allora critichiamo pure quella giovane mamma che non vuole lasciare la sua bambina in un nido dove lavora quella ragazza lì. Ma guardiamoci bene in faccia. Perché a me pare che di un esame di coscienza ne abbiamo bisogno un po’ tutti. Privati cittadini e amministratori della cosa pubblica. Non pare così anche a voi?