VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

21 giu 2015

Biologia e psicologia in dialogo

La fine di un mito (3)

Un’altra riflessione nasce dalle nostre osservazioni di questi ultimi incontri sulla dimensione biologica delle nostre origini. Quella prima cellula, nata nell’incontro tra il seme di mia madre e quello di mio padre, aveva in sé tutta l’Energia di Vita. E, di moltiplicazione in moltiplicazione fino a diventare un insieme di miliardi di cellule, ha dato origine a me e alla mia storia.

All’inizio ho avuto bisogno di essere ospitato in una casa speciale, il corpo di mia madre. Poi, dopo nove mesi, sono uscito da lì e sono entrato nella nostra casa comune. Quella della madre Terra. Un viaggio affascinante. Che continua tuttora. Fino al giorno in cui attraverserò un’altra trasformazione e continuerò, in una dimensione ancora non del tutto comprensibile alla mia mente, quel Viaggio nella Vita iniziato in quella prima e unica cellula. È il mistero e il fascino della vita.

 

Molte volte, pensando al tempo vissuto nell’utero materno, lo immaginiamo come un tempo in cui vivevamo in una sorta di simbiosi dove chi provvedeva a tutto era la mamma. E noi, in totale dipendenza da lei, c’immaginiamo immersi in un tempo e uno spazio di quiete totale.

Niente di più lontano dalla verità delle cose. Abbiamo visto, in realtà, come quel tempo di permanenza nella casa materna è stato un tempo di collaborazione attiva tra il bambino e sua madre. Un tempo di lavoro, condiviso, nella reciprocità di un dialogo, biologico e affettivo.

 

Eppure, nonostante le conoscenze che la scienza ormai ci ha fornito con abbondanza di dettagli, continuiamo a coltivare il rimpianto di un’età dell’oro. Come un tempo di felicità totale e altrettanto totale dipendenza da qualcuno che lavorava per noi. È così radicato questo pensiero che in tutte le culture e le religioni, pur nella diversità dei contenuti, troviamo racconti di paradisi perduti, di cacciate punitive per misfatti o ribellioni che i nostri (presunti) progenitori avrebbero commesso nei confronti di una qualche divinità. Perfino nel mito biblico delle origini, ri-leggendo certi contenuti con forzate interpretazioni, abbiamo letto di un... paradiso terrestre! Parole assenti nel testo biblico. E difficilmente accettabili dal nostro pensiero quando vi andiamo a leggere di punizioni che sarebbero arrivate fino a noi. Del tutto innocenti da quelle presunte colpe, anche solo per il fatto che non c’eravamo. Nessun giudice onesto si sognerebbe mai di punire le colpe dei padri nei figli. Figuriamoci se può farlo un Dio – comunque lo vogliamo chiamare, nelle diverse culture e tradizioni religiose – che per i credenti è fonte di ogni pace e di ogni giustizia.

 

La nostra ‘colpa’, se vogliamo usare questa parola – perché sarebbe meglio dire la nostra responsabilità – è invece nell’oggi, quando in nome di una presunta età dell’oro vissuta in una relazione di presunta totale dipendenza nei primi nove mesi di vita, andiamo, da adulti, alla ricerca di relazioni affettive simbiotiche e appiccicose. Ai livelli più diversi.

A volte sentiamo dire da un genitore a un figlio: tu sei la ragione della mia vita. O da un uomo alla sua donna: senza di te la mia vita non avrebbe alcun senso. E altre cose simili. Accettabili se dette e pensate da un bambino o da un adolescente, che ancora vivono il mondo e le cose nella cornice mentale del tutto o niente. Ma segno di una dipendenza insana e impossibile da realizzare se rimangono il progetto di un adulto.

Nessuno, in nessun modo, può colmare di senso la mia vita se essa in me non trova una radice e una base solida su cui crescere. Il senso profondo della mia vita non può che essere in me. E perfino se ho la forza di coltivare una dimensione religiosa, è sempre in me, e solo in me che posso trovare e incontrare quel Dio che abita il mio cuore. Anche Gesù ricordava ai suoi che Dio, Padre-e-Madre, dimora in ciascuno di noi.

 

Quando Il Profeta di Gibran prova a rispondere a chi gli chiede cosa sia l’amicizia, egli ricorda che un amico “può colmare ogni bisogno, ma non il vostro nulla”. Quando poi gli chiedono del matrimonio, entrando nella profondità di quest’incontro, risponde: “Cantate e danzate insieme e siate giocondi, ma ognuno di voi sia solo: come sole sono le corde del liuto, sebbene vibrino di una musica uguale”. Poi aggiunge: “Ergetevi insieme, ma non troppo vicini. La quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro”.

 

La totale dipendenza nell’utero materno è solo un mito. Non un ricordo di verità.

Se vogliamo vivere la vita in pienezza, è in noi stessi che abbiamo bisogno di trovarne la ragione. Perché è solo su questa strada che possiamo incontrare l’altro: compagno di vita, figlio, genitore, amico o maestro. Posso incontrare l’altro se sono con me stesso. Come le corde di un liuto, di una chitarra o di un pianoforte: ciascuna ha il proprio suono. Da coltivare. E da offrirci.