VOCE DELLA VALLESINA Settimanale di informazione - Colloqui con lo psicologo - di Federico Cardinali

4 ott 2015

Ancora una strage alla Mecca

Il sàtana da lapidare

Anche quest’anno una tragedia durante l’Hajj, il pellegrinaggio che ogni musulmano, almeno una volta nella vita, deve compiere alla Mecca. Più di 700 persone sono morte e più di 800 sono rimaste ferite nella calca che si è creata intorno alle tre stele che rappresentano il satana. È uno dei vari riti che accompagnano il pellegrinaggio. Lo chiamano la lapidazione di satana, dal momento che questi viene personificato. Il riferimento è al mito di Abramo che l’avrebbe respinto a sassate quando lo tentava a non obbedire alla richiesta di Dio. È ormai chiaro che il pellegrinaggio dei musulmani ha bisogno di una cura e un’attenzione maggiori da parte delle autorità saudite, se si vuol evitare che un rito sacro diventi occasione di morte anziché di vita.

 

Ma lasciamo questo problema alle autorità competenti, e proviamo a fare insieme due riflessioni.

 

La prima.

Prendiamo la parola ‘satana’ e guardiamone il senso: essa non è altro che la traslitterazione della parola ebraica satàn che significa avversario. Nella Bibbia appare in più occasioni e sta sempre ad indicare l’avversario di qualcuno, di un qualche personaggio. C’è un libro, quello di Giobbe, che inizia con un racconto molto curioso: «Un giorno i figli di Dio vennero a presentarsi al Signore e anche il satàn venne in mezzo a loro. Chiese il Signore al satàn: “Da dove vieni?”. Il satàn rispose al Signore: “Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo”» (Giobbe 1,6-7). Poi la conversazione tra i due continua: essi parlano dell’onestà e della fedeltà di Giobbe, fino alla contestazione che il satàn fa al Signore, dicendogli che non è poi così straordinario quest’uomo, visto che tutto, proprio tutto gli va molto, molto bene. La storia poi continua riportandoci le prove cui l’avversario, con il permesso del Signore, sottopone Giobbe e come questi, di volta in volta, reagisce.

 

Lasciamo riposare Giobbe ora, e riprendiamo il testo. La parola satàn è sempre preceduta dall’articolo: questo significa che non è un nome proprio, un nome di persona, ma una designazione di ruolo, di funzione. Tra i figli di Dio, così è scritto nel testo, ce n’è anche uno che fa l’avversario.

Ora facciamo un salto di quasi cinque secoli e arriviamo a Gesù di Nazareth. Egli un giorno usa questa stessa parola per rivolgersi a Pietro: “Va’ dietro di me, satana, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini” (Marco 8,33). In quel preciso momento Gesù vede in Pietro il suo avversario, il suo ostacolo.

 

Queste considerazioni per dirci che quando leggiamo la Bibbia è importante osservare con attenzione il significato delle parole, per non prendere cantonate. E, soprattutto, per non far dire ad essa cose che non dice.

Noi sappiamo che un po’ tutte le religioni hanno operato una personificazione del male, attribuendogli i nomi più vari. Tra queste, le tradizioni ebraica, cristiana e islamica hanno fatto diventare nome proprio quella che all’origine era solo una designazione di funzione: l’avversario (il satàn) è diventato Avversario. E dal momento che continuiamo ad usare la parola ebraica, e non la corrispondente italiana, il satàn è diventato Satana. Senza l’articolo e con la lettera maiuscola: come se fosse un nome proprio di persona!

 

E ora la seconda riflessione.

Qual è il senso del rito della lapidazione del satana che i musulmani fanno durante il loro pellegrinaggio verso il luogo sacro della Mecca? Ogni rito, lo sappiamo bene, si carica di significati importanti per chi lo compie. Questo gesto particolare diventa una sorta di esorcismo: colpiamo il male per allontanarlo da noi, per distruggerlo. Ma qui nasce la vera domanda: il male è fuori di noi, magari in un individuo (cui diamo addirittura un nome, Satana) o esso abita nel nostro cuore? Tutti, credo, abbiamo sperimentato come i cattivi pensieri, i pensieri d’invidia o di gelosia o di vendetta o di egoismo nascono e crescono dentro di noi, nel nostro animo. Nessuno ce li mette da fuori. Con un qualche sortilegio. Sia la nostra esperienza sia la conoscenza dell’uomo che ci offrono le scienze psicologiche sono molto chiare: il bene e il male che pensiamo o che facciamo hanno radice nel cuore umano. È nella mente che nascono i progetti di bene o i progetti di male. Le scelte che recano danno e quelle che portano benessere. Agli altri. E a noi stessi. E siamo noi ad alimentarli e a tenerli in vita.

 

Una volta anche Gesù, parlando con i discepoli, fece questa considerazione: “Anche voi siete ottusi? Non capite che ciò che entra nell’uomo dal di fuori non lo può rendere impuro? (...) Ciò che dall’uomo esce, questo rende l’uomo impuro: da dentro, infatti, dal cuore degli uomini escono le intenzioni quelle cattive...” (Marco 7, 18-23). Una bella lezione di... psicologia ci dà questo maestro. Il satana da lapidare è nel nostro cuore. Ed è lì che possiamo trovare la forza e l’energia per superare il male e costruire il bene.

 

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Si può leggere: Ha incontrato un satana